Bonifica virile
di Francesco Paolella
Sono vicende minime di marginalità e desolazione, queste ricostruite da Cristoforo Magistro, storico che si occupa di storia dell’omosessualità in Italia. Sono storie di “pederasti” confinati in Lucania durante gli anni del fascismo trionfante, allontanati dalle loro case e dalle loro città a causa dello scandalo e della “pericolosità” della loro condotta.
Sono storie minime di devianti, incappati nel meccanismo di bonifica messo in atto dal fascismo per quasi venti anni. La virilità fascista, come è noto, non poteva essere messa in discussione: l’omosessualità, quindi, neppure poteva esistere nell’Italia fascista, né essere riconosciuta come crimine specifico dalle leggi. Gli omosessuali, invece, continuavano la loro vita nell’ombra, spesso costretti a galleggiare nel “mondo di mezzo” della prostituzione e degli adescamenti. Il fascismo vedeva nella “perversione” omosessuale una malattia quasi contagiosa e negli omosessuali una specie di untori, da dover isolare e, in ultima analisi, punire.
La società italiana doveva essere difesa da quegli emarginati emarginalizzandoli ancora di più. Tanti omosessuali furono quindi trasferiti in piccoli comuni del sud o su piccole isole e furono costretti a una vita misera e disagiata, anche se poterono spesso contare sulla solidarietà della gente con cui dovevano convivere. Venivano soprattutto sottoposti alla continua, ottusa vigilanza da parte dei carabinieri e delle altre autorità locali, sempre pronti a cogliere una “ricaduta” in un vizio considerato in fin dei conti inemendabile. Non sempre quei confinati si rassegnarono però a una esistenza di isolamento e di miseria: dalle carte di polizia studiate da Magistro, emergono invece frequenti tentativi per adattarsi al nuovo ambiente o anche per adattarsi alla normalità da cui si erano allontanati, ad esempio fidanzandosi con una ragazza.
Il confino fascista era uno strumento repressivo senza dubbio efficace: pura segregazione che sottoponeva a un potere arbitrario. Queste biografie non fanno poi che riproporre i danni provocati, in sovrappiù potremmo dire, dal “senso comune”, dalla voce pubblica la quale, spesso e volentieri, si scagliava – sempre via lettera anonima – contro quegli anormali, denunciandoli per ogni comportamento sospetto.
Fino all’estate del 1943, e con un peggioramento marcato durante gli anni della seconda guerra mondiale, uomini spesso già segnati dalla miseria (e talvolta coinvolti in tristi vicende di sfruttamento o in altro tipo di reati) vennero catapultati da diverse città italiane in piccole realtà “lunari”, assolutamente fuori dal tempo e ancora premoderne. Proprio per questo, però, riuscirono spesso ad emergere e a risultare persino “popolari” in quel mondo così antiquato, venendo anche utilizzati secondo le loro competenze (come medici o maestri…).
Ovviamente, al confino finivano soprattutto gli omosessuali più indifesi, i più poveri: il trattamento delle autorità fasciste – così spietate nel voler difendere l’integrità della stirpe e, in ultima analisi, la moralità cattolica e la rispettabilità borghese – poteva variare molto a seconda del ceto sociale (e della fede politica) del malcapitato.
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