Borderline al MAR di Ravenna
di Francesco Paolella
Se io prendo in forze il linguaggio del potere,
divento come il potere.
Zavattini, La veritàaaa
Alla fine della seconda guerra mondiale, Jean Dubuffet iniziò a penetrare nel mondo di un’“arte folle”, massimamente irregolare, solitaria, figlia del silenzio dei manicomi e destinata a non uscire da essi. Così è nata l’Art Brut, i cui autori, marginali par excellence, che sembrano essere costretti a rimanere nell’anonimato, creano per pura necessità vitale, per un bisogno dolente che non punta a mostrarne i risultati, né ad alcun riconoscimento. Marginali, autodidatti, a volte analfabeti, rimasti radicalmente fuori dalle accademie, dalle gallerie e dai musei, e dalle regole proprie dell’arte omologata.
Non è la “follia” che possa definire l’Art Brut – Dubuffet fra l’altro dopo le opere degli internati in manicomio, si rivolse anche ai carcerati –, quanto piuttosto proprio quel bisogno (rituale, terapeutico ecc.) di manifestarsi dal chiuso di una cella, dall’isolamento e dalla marginalità.
Per gli altri, tutto questo è stato poi via via catalogato come “eccentrico”, “selvaggio”, “infantile” o chissà cosa ancora, ma non più semplicemente come “psicopatologico”. Ossia: con l’Art Brut – che oggi è una parte non secondaria nel panorama dell’arte in generale – non è stato più possibile che la griglia di un quadro nosologico “imprigioni” di più e di nuovo quell’arte. L’Art Brut è essenzialmente marginale, ha portato in primo piano proprio il problema di quel margine (sempre precario, sempre ambiguo) fra normalità e anormalità.
Oggi a Losanna la Collection de l’Art Brut, nata dalla donazione della raccolta di Dubuffet, raccoglie un patrimonio di ben 60.000 opere. Da Losanna provengono molte delle opere esposta in questa mostra, Borderline, allestita al MAR di Ravenna. Una mostra che permette di vedere vicine opere di Art Brut e opere importanti di “arte culturale”, per riprendere sempre Dubuffet. Ma qui ci interessano in particolare proprio i lavori di quei “marginali”, le cui biografie raccontano di disagi e solitudine, e sono segnate quasi sempre dal trauma del ricovero in manicomio. Sono opere che allo sguardo del visitatore anche non esperto si impongono allo stesso tempo nella loro lontananza e nella loro vicinanza. Sono state realizzate da dei diversi, e per chi osserva quei disegni ossessivi, ipnotici o brutali, si tratta comunque di una conseguenza diretta di un’esistenza fragile e dolorosa. Al contempo, però, sono opere che sanno raccontare proprio la vita degli altri, di quelli che non hanno mai percorso i corridoi di un manicomio.
Prendiamo in considerazione Carlo Zinelli (1916-1974), a cui oggi è dedicata una fondazione a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona. L’attività creativa di Zinelli, nata dentro le mura di un manicomio, è «un’arte originata dall’esperienza bellica e dai suoi traumi e, al contempo, come in un sogno che condensa le sue immagini, memoria di quei luoghi veronesi che delimitavano il suo piccolo mondo delle origini. Perché l’arte di Carlo è ancorata in profondità ai luoghi, agli umori e alle storie collettive: è un’opera che racconta un’Italia profonda, prebellica e contadina» (Giorgio Bedoni, Borderland. Le frontiere mobili dell’immaginario, a p. 27 del catalogo).
E pensiamo ancora a Federico Saracini, uomo vissuto nell’Ottocento e ricoverato per due volte nel manicomio “San Lazzaro” di Reggio Emilia, e rimasto là fino alla morte, avvenuta nel 1903. Nei suoi disegni, Saracini riuscì, nonostante quella separazione dal mondo, a dire tanto sulla vita politica e sociale del suo tempo, costruendo una sua filosofia.
Questa mostra di Ravenna è inevitabilmente una mostra dove si impone il dominio dell’essere fuori posto, delle ossessioni, dei sogni, di un horror vacui prepotente. In sintesi: una mostra fatta di corpi, del disagio dei corpi. Dovendo scegliere una immagine simbolo di questo percorso, ci affidiamo a uno dei giganteschi Autoritratti di Mattia Moreni, ritratti di una forza interiore impressionante.
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tysm literary review, Vol 1, No. 3 – march 2013
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