Call of Duty Black Ops
Federico Ercole
Nei videogiochi capita di salvare il mondo interpretando diverse tipologie di eroi, oppure di contribuire ad annientare l’universo. Fa parte del gioco. Così talvolta si interpretano virtualmente personaggi che nella realtà troveremmo detestabili, oppure si compiono azioni in contrasto totale con la nostra etica. È come recitare, si può interpretare Jago o Hannibal Lecter e trovarlo spassoso, senza essere dei perversi bugiardi e traditori o serial killer cannibali. Così non c’è nessun altro videogioco che renda «divertente» l’orrore della guerra anche per un pacifista convinto, come Call of Duty: Black Ops, appena uscito per PS3 e XBox 360. Dopo solo 5 giorni ha fatturato 650 milioni di dollari e ha irritato profondamente uno stato: Cuba. Il gioco si ambienta all’epoca della guerra fredda e siccome il protagonista è un agente speciale della Cia, i comunisti sono il male assoluto. Nei primi minuti di gioco, che si svolgono a Cuba durante gli eventi della Baia dei Porci, la missione è quella di eliminare Fidel Castro. E gli si spara pure, al rallentatore, ma poco dopo si scopre che era un sosia. Così in un comunicato ufficiale da Cuba a proposito di questo attentato videoludico si legge che «quello che gli Stati Uniti non sono riusciti a compiere in più di 50 anni lo stanno tentando ora virtualmente». Una reazione pacata se si pensa a quale vespaio mediatico avrebbe sollevato Call of Duty se si fosse svolto in un’altra epoca e in un altro luogo e se avessimo provato a eliminare uno qualsiasi dei potenti ancora in comando.
Ma questo tentato omicidio non è che l’inizio di un gioco davvero stupefacente, un film interattivo tutto in soggettiva visivamente potentissimo, e chi gioca la modalità «zombi», una storia parallela in cui si combattono morti viventi nazisti, scoprirà che in realtà Kennedy e Castro sono alleati contro i mostri.
Malgrado l’iper-realismo degli scenari, anche se i cieli possiedono una gamma cromatica che li rende fantastici, belli come quelli delle grandi favole epiche, e il pretesto storico, Call of Duty è un racconto immaginario e non è un’opera fascista o nazionalista, anzi, se la si legge come «fanta» cronaca di tutte le porcherie commesse dalla Cia può essere considerato un gioco educativo. Call of Duty Black Ops è uno sparatutto in prima persona che ci porterà quasi in tutto il mondo: Russia, Cina, Vietnam, Laos, Antartide…I livelli sono suggestivi, costruiti con una sensibilità pittorica che nel genere degli sparatutto è spesso assente. La giungla sembra quella di Apocalypse Now, un coacervo di vegetazione opprimente e così vegetale da sembrare viva, pronta a soffocarci con i suoi tentacoli verdi. C’è anche una parte di gioco che si svolge a Kowloon, il quartiere diroccato di Hong Kong; tutto il livello è un evidente omaggio a John Woo, che vi ha ambientato numerosi film e viene citato anche il suo videogioco Stranglehold, che condivide lo stesso set virtuale e l’atmosfera meteorologica: una pioggia fittissima. Oltretutto le armi che il giocatore ha a disposizione all’inizio del livello sono una coppia di pistole, un classico degli eroi di Woo.
[da il manifesto, 12 dicembre 2010]
tysm, n. 1, dicembre 2010
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