Dentro il mito Puccini. Incontro con Paolo Benvenuti
Luca Peretti
Cinque lungometraggi in venti anni. Dietro ad ogni film c’è un prezioso e lungo lavoro di scavo, ricerca storica e archivistica, raccolta di testimonianze. Il cinema di Paolo Benvenuti è anche e soprattutto questo, e solo dopo anni e anni di lavoro – in genere pieni di difficoltà – si arriva a vedere il risultato sullo schermo. All’ultima Mostra del cinema di Venezia è stato presentato Puccini e la Fanciulla, mentre il festival di Rotterdam gli dedica adesso una retrospettiva completa. Abbiamo chiesto a Benvenuti di raccontarci il percorso creativo e di ricerca storica che c’è dietro l’ultimo film.
Come sei arrivato a questo progetto su Puccini?
Nel 2001, i ragazzi di Intolerance, la scuola di cinema del Comune di Viareggio, mi chiesero di fare un’esperienza di sceneggiatura. Gli spiegai allora come funzionava il mio lavoro di ricerca storica su cui costruisco la sceneggiatura. Dopo alcuni incontri approdammo a Puccini su cui, in passato aveva lavorato una mia allieva della scuola di cinema di Pisa. Questa, nel 1984, dopo aver compiuto una solida ricerca storica, aveva realizzato un bel cortometraggio su Doria Manfredi, la servetta di Puccini morta suicida, mettendo a confronto la menzogna e la verità: da una parte il film Puccini di Gallone del ’52, dove Doria si affoga nel lago perché rifiutata dal maestro (stessa versione dello sceneggiato Rai di Bolchi del ’72), dall’altra i fatti ricostruiti su testimonianze e documenti d’archivio. I ragazzi di Intolerance partirono dalla visione di questo cortometraggio che, pur interessante, non risolveva tutti gli interrogativi di quel suicidio.
Era una sorta di input quindi…
Esatto. I ragazzi andarono ad intervistare i vecchietti di Torre del Lago ma risolsero ben poco perché questi, sull’argomento Doria Manfredi, si chiudevano a riccio. Allora andarono al Centro studi pucciniani di Lucca dove studiarono le lettere di Puccini relative a quel periodo e le varie biografie sul Maestro. Alla fine, l’ipotesi che misero in piedi era quella suggerita dal libro Puccini minimo di Aldo Valleroni, dove si sosteneva che il dongiovannismo di Puccini non era fine a se stesso ma funzionale alla sua creatività musicale: ogni volta che scriveva un’opera, egli doveva innamorarsi di una fanciulla che assomigliasse all’eroina di quell’opera. Doria si suicida mentre Puccini sta lavorando a La Fanciulla del west. Allora i ragazzi si chiesero: somiglia Doria all’eroina della Fanciulla del west? Assolutamente no, dato che era timida, introversa, molto religiosa, mentre la Minnie della Fanciulla del west è una donna energica, con le pistole, che gestisce un saloon nel west. Rispondeva invece a questi canoni Giulia Manfredi, la cugina di Doria, che gestiva con il padre la Terrazza Emilio, il bar palafitta situato nel lago davanti a villa Puccini. Allora i ragazzi sono tornati a Torre a chiedere se questa Giulia era amica di Puccini. E, mentre su Doria l’omertà era stata totale, sull’amicizia tra Giulia e il Maestro, tutti facevano battute e risolini.
La conferma a tutto ciò ti arriva però con la scoperta della valigia…
Prima passa un po’ di tempo. Nel dicembre 2005 decidiamo di rinunciare al progetto, ritenendo di avere ipotizzato una bella storia di intrighi plausibili ma priva di riscontri oggettivi. Secondo la mia etica, a queste condizioni non si poteva procedere oltre.
Ma, nell’estate del 2006, Giulio Marlia, dirigente dell’ufficio cultura del Comune di Viareggio, ci informa che Giulia Manfredi nel 1923 mette al mondo un figlio illegittimo e lo abbandona a Pisa. Abbiamo trovato conferma all’anagrafe: si chiamava Antonio di Giulia Manfredi e di n.n. Mi metto sulle tracce di questo Antonio e scopro che è morto nell’88 ma che, sposatosi nel 44, aveva avuto una figlia nel ’46: Nadia, che abita a Pisa. Allora vado da questa signora e le chiedo se sua nonna era stata amica di Puccini. Lei mi conferma la cosa, confessandomi però che i rapporti con sua nonna erano sempre stati molto difficili. Ho cominciato a frequentare questa famiglia perché volevo ricostruire la vita di Antonio Manfredi, costringendoli così a fare uno sforzo di memoria. Un giorno mi telefonano: si sono ricordati che nel ’76, quando Giulia morì senza aver mai rivelato ad Antonio di chi fosse figlio, i parenti di Torre del Lago, che lo chiamavano «il bastardo», gli telefonano perché andasse a prendersi le cose di sua madre. A casa di questa prende una valigia vuota e ci ficca dentro quello che trova nei cassetti. Tornato a Pisa getta la valigia in cantina, dove viene dimenticata per più di trenta anni. Quando nel gennaio del 2007 la valigia viene aperta scopriamo documenti, lettere di Puccini a Giulia e molte fotografie con dedica.
E da lì è nato il film, in pratica…
No, il film è nato perché sotto questa prima serie di carte, abbiamo rinvenuto una busta piena di altre lettere, tutte sul il suicidio di Doria e sul processo a Elvira, condannata contumace dal tribunale di Lucca a 5 mesi e 5 giorni di galera per calunnia e istigazione al suicidio.
Queste poi sono le lettere che si sentono nel film?
No, quelle sono lettere edite, queste sono tutte inedite. In fondo alla valigia c’erano anche due scatole di biscotti con dentro della pellicola: un documento straordinario di 8 minuti su Puccini del 1915. Si e’ visto in uno speciale Tg1, il 28 settembre.
Insomma, di tutte queste cose che voi avete trovato, soltanto una piccolissima parte è finita nel film.
Praticamente niente: solo la prova che ci mancava: cioè che la causa della tragedia di Doria è stato l’aver sorpreso Fosca, la figliastra di Puccini a letto con Civinini, il librettista de La Fanciulla del west. Questa prova è nelle carte ritrovate. I due, per tappare la bocca a Doria, raccontano a Elvira di aver sorpreso la sera a letto con Puccini. Elvira, per non coinvolgere la figlia e folle di gelosia, va dal prete e dalla madre della ragazza a dire di aver sorpreso lei, Doria a letto con suo marito.
Del resto questo è il mio modo di fare cinema: tutti i miei film sono costruiti su documentazione storica attendibile e comprovata.
Anche in Segreti di stato la scelta di non insistere molto sulla Xmas, anche se ci sono accenni…
Tocca agli storici approfondire tali argomenti, non ai registi. Adesso le prove sulla X mas stanno uscendo fuori una dopo l’altra. Il compito di un film è quello di porre domande, non di fornire risposte. Con Puccini e la fanciulla abbiamo fatto una scelta poetica, ma i rapporti di classe che si mostrano e i fatti che portano questa ragazza al suicidio sono rigorosamente documentati. Se così non fosse, la signora Simonetta Puccini (erede riconosciuta del compositore ndr) avrebbe tutto il diritto di mandarmi in galera.
Mi sembra, come sempre nei tuoi film, ci sia una ricostruzione precisa sia per l’ambiente sia per le canzoni e i suoni…
Per la ricostruzione ambientale abbiamo lavorato sulle fotografie d’epoca e su quadri dei macchiaioli che vivevano a Torre del Lago. Per i suoni, invece, bisogna distinguere due aspetti: il primo, quello che riguarda la musica, è stato curato personalmente da mia moglie Paola Baroni, co-atrice del film. La musica che sentiamo non è di Puccini: si tratta della riduzione pianistica di Carlo Carignani del 1912 da La Fanciulla del west. I canti popolari di area lucchese invece, trovati sempre da Paola con la collaborazione dell’Istituto Ernesto de Martino e di altri studiosi, rappresentano la cultura contadina dell’epoca. Il secondo aspetto da sottolineare riguarda invece il lavoro di Mirco Mencacci, il designer del suono. Mirco ha registrato i suoni del lago di Massaciuccoli. Quei suoni, una volta ripuliti dai rumori moderni e mixati con la presa diretta, hanno costituito una sorta di partitura che interagisce con la musica di pianoforte. Questo perchè i suoni naturali del lago di Massaciuccoli sono stati la fonte primaria dell’ispirazione di Giacomo Puccini.