Cinema e stregoneria
Antonin Artaud
Si sente ripetere dappertutto che il cinema sta vivendo la sua infanzia e che stiamo assistendo soltanto al suo’ primi balbettii. Confesso di non comprendere questo modo di vedere. Il cinema arriva a uno stadio già avanzato dello sviluppo del pensiero umano e beneficia di questo sviluppo. Senza dubbio è un mezzo d’espressione che da un punto di vista materiale non è del tutto a posto. Si può concepire un certo numero di progressi capaci di dare all’apparecchio, per esempio, una stabilità e una mobilità che ancora non possiede. Avremo un giorno il cinema in rilievo, potremo vedere film a colori. Ma questi sono mezzi accessori che non possono aggiungere molto a quello che è il substrato del cinema stesso, e che ne fa un linguaggio allo stesso titolo della musica, della pittura o della poesia.
Ho sempre distinto nel cinema una virtù propria del movimento segreto e della materia delle immagini. C’è nel cinema tutta una parte di imprevisto e di mistero che non si trova nelle altre arti. È certo che qualsiasi immagine, anche la più secca o la più banale, arriva sullo schermo trasposta. Il più piccolo dettaglio, l’oggetto più insignificante acquistano un senso, una vita che gli appartengono in proprio. E questo al di là del valore di significazione delle immagini stesse, al di là del pensiero che manifestano, del simbolo che rappresentano. Per il fatto di isolare gli oggetti il cinema dona loro una vita a sé che tende sempre di più a divenire indipendente e a distaccarsi dal senso ordinario degli oggetti medesimi. Una foglia, una bottiglia, una mano, vivono di una vita quasi animale, e che non chiede altro che di essere utilizzata. Ci sono anche le deformazioni prodotte dall’apparecchio, l’uso imprevedibile che questo fa delle cose che gli si fanno riprendere.
Nel momento in cui l’immagine se ne va, un certo dettaglio a cui non si era pensato viene a fuoco con vigore singolare, scontrandosi con l’impressione cercata. C’è anche questa specie di ebbrezza fisica che comunica direttamente al cervello il susseguirsi delle immagini. Lo spirito è sconvolto al di là di qualsiasi rappresentazione. Questa sorta di potenza virtuale dell’immagine va cercando nel fondo dello spirito possibilità a tutt’oggi inutilizzate. Il cinema è essenzialmente il tramite rivelatore di tutta una vita occulta con la quale ci mette direttamente in relazione. Ma questa vita occulta bisogna saperla indovinare. C’è molto di meglio che un gioco di sovrimpressioni per far indovinare i segreti che si agitano in fondo a ogni coscienza.
Il cinema grezzo, preso così com’è, in astratto, libera già un po’ di questa atmosfera di trance eminentemente favorevole a certe rivelazioni. Utilizzarlo per raccontare delle storie, delle azioni esteriori, significa privarsi delle sue migliori risorse, andar contro le sue possibilità più profonde. Ecco perché il cinema mi sembra fatto soprattutto per esprimere le cose del pensiero, l’interiorità della coscienza, e non tanto attraverso il gioco delle immagini quanto attraverso qualcosa di più imponderabile che ce le restituisce nella loro forma diretta, senza interposizioni, senza rappresentazioni. Il cinema arriva a una svolta del pensiero umano, proprio nel momento in cui il linguaggio abituale perde il suo potere simbolico, in cui lo spirito è stanco del gioco delle rappresentazioni. Il pensiero chiaro non ci basta. Esso definisce un mondo usato fino alla nausea. Ciò che è chiaro è ciò che è immediatamente accessibile, ma l’immediatamente accessibile è ciò che serve da scorza alla vita. Questa vita troppo conosciuta e che ha perduto tutti i suoi simboli, cominciamo ad avvederci che non è tutta la vita. E l’epoca d’oggi è bella per gli stregoni e per i santi, più bella d 1 quanto non sia mai stata. Una sostanza insensibile prende corpo, cerca di venire alla luce.
Il cinema ci avvicina a questa sostanza. Se il cinema non è fatto per tradurre i sogni o tutto quel che nella vita cosciente è affine all’ambito dei sogni, allora il cinema non esiste. Niente lo differenzia dal teatro. Ma il cinema, linguaggio rapido e diretto, non ha per l’appunto bisogno di una certa logica lenta e pesante per vivere e prosperare. Il cinema dovrà avvicinarsi sempre di piì1i al fantastico, quel fantastico che è in effetti, ce ne accorgiamo sempre meglio, tutto il reale; altrimenti morirà. 0 piuttosto, farà la fine della pittura e della poesia. Quel che è certo è che la maggior parte delle forme di rappresentazione hanno fatto il loro tempo.
Da molto tempo tutta la buona pittura non serve a granché d’altro che a riprodurre l’astratto. Non è dunque soltanto una questione di scelta. Non ci sarà da un lato il cinema che rappresenta la vita e dall’altro quello che rappresenta il funzionamento del pensiero. Infatti la vita, ciò che noi chiamiamo la vita, diverrà inseparabile dallo spirito. Un ambito profondo cerca di affiorare in superficie.
Il cinema, meglio di qualsiasi altra arte, è capace di tradurre le rappresentazioni di questo ambito perché l’ordine stupido e la chiarezza consuetudinaria sono i suoi nemici.
La coquille et le clergyman partecipa di questa ricerca di un ordine sottile, di una vita nascosta che ho voluto rendere plausibile, plausibile e reale quanto l’altra.
Per comprendere questo film basterà guardare profondamente dentro se stessi, abbandonarsi a questa sorta di esame plastico, obiettivo, attento al “Io” interiore, il solo che fino a oggi era l’ambito esclusivo degli «Illuminati».