philosophy and social criticism

Neofascismo, neoantifascismo? Una lettura dell’ultimo saggio di Franco Cardini

Francesco Paolella

Franco Cardini, Neofascismo e neoantifascismo, La Vela, Viareggio 2018, 248 pagine

Dipende certo dal tipo di frequentazioni (digitali e fisiche) che si hanno e dal tipo di letture che si fanno, ma a me sembra che mai come ora ci sia in giro una vera ossessione per il “fascista” (fascista di lotta o fascista di governo). Ancora di più, se possibile, che negli anni Settanta, gli anni dell’antifascismo militante. Fino a qualche mese fa, ci poteva essere la scusa delle elezioni politiche: suscitare la paura per un “pericolo fascista” avrebbe potuto servire per compattare e, magari, far incrementare un nuovo fronte popolare. È anche vero che c’è sempre una campagna elettorale alle porte, quindi può trattarsi – quello della perenne allerta antifascista – di un discorso che rimane, ininterrotto.

Però, al di là dei giudizi sul governo di oggi e sul suo operato, c’è, in questa vera ossessione, qualcosa allo stesso tempo di profondo e di grottesco. Siamo costretti a rivivere, spesso sotto la forma di farsa, vecchie lotte fra antifascisti e anticomunisti: un vero “incubo manicheo”, come lo definisce giustamente Cardini in una pagina di questo suo nuovo libro dedicato al tema: un incubo nel quale le contrapposizioni ideologiche riappaiono in forma nostalgica e isterica, sotto forma di estremismi ottusi. Non che manchi anche la sostanza della questione, ovviamente: ma l’incessante riferimento a regimi passati, a secoli passati, non è che un rigurgito illusorio.

Cardini, vecchio militante di destra e oggi intellettuale difficilmente inquadrabile, non si riconosce né nel fascismo, per molte, ottime ragioni, né nell’antifascismo. In entrambe queste vetuste definizioni c’è indubbiamente un forte dose di ambiguità. Cosa significa essere antifascisti? È sufficiente questa “qualifica” per tenere assieme un movimento, un partito, un governo? O non bisogna riconoscere piuttosto che esistano tanti antifascismi? E non c’è del conformismo, assieme a qualcosa di vagamente vessatorio, nella conclamata superiorità antifascista? Per non dire che la molla antifascista ormai non scatta più: è pure illusorio, specie in Italia – un Paese nel quale sopravvive ostinatamente una tradizionale “simpatia”, più o meno velata, per il fascismo e per Mussolini in particolare, nonostante i suoi crimini e i suoi tragici errori –, credere di poter guadagnare consensi appellandosi ai valori antifascisti. Siamo ormai – e da molto – nel tempo in cui sarebbe necessaria una vera storicizzazione, in cui dovrebbe essere superato il clima di perenne guerra civile inconclusa. Dovrebbe scendere una pietas liberante verso vincitori e vinti, senza fare stupide parificazioni, ma consentendo finalmente di ricuperare le memorie di tutte le vittime – e Cardini ricorda giustamente, per restare al caso italiano, le vittime civili dei bombardamenti alleati.

L’antifascismo, così come l’anticomunismo (almeno in teoria: perché almeno in Italia il comunismo è solo materia di studio per archeologi), non dovrebbe mai assumere i panni del censore, né del moralizzatore. Le recenti, continue proposte per vietare i raduni delle forze dell’estrema destra, oltre a essere inefficaci se non dannose, ricordano troppo da vicino pratiche repressive, degne di altre epoche. E poi, che senso ha, come, ad esempio, si vuole in Emilia-Romagna, proibire di comprare un statuetta con l’effige del duce? Cosa ne ricava la vita democratica nazionale?

Paradossalmente, e voglio sottolineare questo avverbio, sarebbe l’ora di liberare la Costituzione dal divieto (transitorio) di ricostituzione del partito fascista: divieto che oggi risulta quanto mai ipocrita e inutile. Non è nel nome e nel simbolo di un movimento, che andrebbe comunque combattuto con altri mezzi, che starebbe un pericolo per la libertà. L’ossessione antifascista non fa che far riapparire sempre di nuovo il fantasma di Mussolini e non fa che posticipare un vero esame di coscienza collettivo sulla storia patria e sulle colpe di chi è venuto dopo il fascismo. Servirebbe un nuovo slancio pasoliniano e pannelliano, per difendere la libertà (di pochi) dagli eredi dei liberatori.

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