I flussi segreti e esoterici fra Oriente e Occidente
Alfonso M. di Nola
Gershom Scholem è stato, fino alla data della sua morte, avvenuta a Gerusalemme nel 1982, il più grande studioso ed esperto di dottrine cabalistiche, soprattutto rielaborando i testi degli Ebrei dell’Europa centrale e della Germania in cui era nato, e posteriormente, dopo il suo trasferimento a Gerusalemme, lavorando sullo sterminato numero di fonti in lingua ebraica e aramaica. Questo breve e arduo contributo che ora pubblica in traduzione italiana Einaudi dall’originale tedesco – Alchimia e kabbalah -, è l’arricchimento di un tema che Scholem aveva affrontato molti anni addietro nella sua giovinezza.
Due tradizioni segrete ed esoteriche, quella occidentale dell’alchimia e quella orientale del cabalismo, si intrecciano e vengono poste a confronto nel tentativo di chiarire quali nei secoli sono state le reciproche interferenze. Si presume così che si abbia una conoscenza dell’una e dell’altra dottrina che l’autore analizza sulla base di testi spesso ardui e difficili, i quali, però, portano il lettore non sprovveduto a un quadro limpido e di alto valore scientifico che investe temi presenti anche nella storia rinascimentale italiana e in tutta la storia europea fino all’epoca attuale. Preliminarmente diviene indispensabile escludere dai materiali esaminati la vasta congerie di ciarlatani e falsi occultisti che, come Eliphas Levi e Crawley, hanno invaso con le loro invenzioni le analisi, dando origine fino a oggi a un’informazione deviata e mistificatoria. I testi studiati da Scholem formano un rigoroso apparato critico che portano a conclusioni di interessi di valore strettamente culturale.
La cabala (la corretta trascrizione dall’ebraico è qabbalah) è un termine che comincia a essere utilizzato intorno all’anno mille con il valore di “tradizione” da un verbo qibbel significante “trasmettere” un oggetto o, nel caso specifico, una dottrina riservata, dalle mani di un gruppo di sapienti a quelle di persone che vengono iniziate. Questo termine appare anche nel russo cabàla, la ricevuta data a chi ha pagato una somma, e forse si nasconde nell’italiano gabella, pervenuto alla nostra lingua attraverso l’arabo, come luogo nel quale si paga un dazio e si riceve la corrispondente attestazione dell’avvenuto versamento. Tuttavia nella storia religiosa giudaica il termine ha significato l’interpretazione mistica e segreta, teorica e operativa, della fonte biblica e delle numerose opere prodotte dagli Ebrei nel Medioevo. Riducendo l’informazione a un minimo indispensabile, la cabala presenta almeno due fondamentali aspetti, uno diretto ad approfondire e chiarire il mistero della creazione dell’uomo e del mondo attraverso la parola di Dio (ed è questa la “via” o “opera” della creazione); e l’altro inteso a realizzare sulla lettura dei testi tecniche particolari di carattere estatico che, nel loro centro, sono destinate a operare un particolare contatto con il piano divino e a procurare nel praticante stati superiori di coscienza extrasensoriale e addirittura capacità di compiere miracoli di tipo magico (ed è, questa, detta “via” o “opera” del Trono o della Gloria). Intorno a tali due indirizzi vengono a strutturarsi opere di base quali il Libro del Fulgore (Sefer ha-Bahir) e il Libro dello Splendore (Sefer ha-Zohar), ambedue ampiamente utilizzate in quest’opera da Scholem.
Per penetrare nel tema centrale trattato dall’autore bisogna aver presente che il citato Libro dello Splendore espone fra l’altro, una ricca teoria sugli attributi e le emanazioni di Dio, detti sefirot, costituiti a coppie parallele e oppositorie che vanno dalle entità prossime a Dio fino al suo sesso (yesod). Si scopre così che nell’età medioevale già in taluni scritti precabalistici viene a crearsi un rapporto omologante tra le sefirot e i metalli che costituiscono l’oggetto dell’alchimia e che presumono una loro progressiva e segreta trasmutazione fondata sul principio dell’unità di tutta la materia e tendente a realizzare l’oro a partire dai metalli inferiori, soprattutto il piombo, attraverso la cosiddetta pietra filosofale. Tutto il discorso alchimico, però, quando non è diretto a una trasmutazione per provocare l’arricchimento del praticante, attribuisce ai vari metalli un significato metafisico e etico, opponendoli così ai metalli reali. Si parlerà, per esempio, di “mercurio dei filosofi” ben diverso dal noto elemento chimico, e così per tutti gli altri metalli.
La scoperta essenziale di Scholem è che nella rilettura cabalistica dell’alchimia e nelle conseguenze metafisiche di essa, gli elementi chimici non sono sottoposti alla corrente valutazione alchimista occidentale e il metallo principale che il cabalista intende realizzare come supremo non è l’oro che, identificato con la luna, passa in secondo ordine, bensì l’argento che corrisponde al bianco e al sole. Le influenze ebraiche si faranno sentire soprattutto nelle teorie magiche di Giovanni Pico della Mirandola, il quale aveva approfondito alcuni aspetti della cabala immaginando che attraverso di essa avrebbe potuto portare gli Ebrei alla conversione, come se quella disciplina giudaica contenesse in nuce talune suggestioni cristiane.
Nei secoli successivi la solidarietà tra le due discipline occulte divenne sempre più intima e diede origine a una vera e propria alchimia cabalistica nella confusione e fusione di tutte le teorie magiche che formarono la cosiddetta pansofia studiata nelle opere del Peuckert. Queste curiosità di mondi eccezionali e riservati che furono al centro delle culture europee nei secoli scorsi, appaiono oggi cadute nel disinteresse, e le trattazioni di alchimia diffuse anche recentemente trascurano la parentela segnalata da Scholem.
[tratto da La talpa libri, 2 novembre 1995]