Due chiese in una
Francesco Paolella
Nota su Il vizietto cattocomunista. La vera anomalia italiana, di Massimo Teodori, Marsilio, Venezia 2015.
Che il Partito Democratico, il quale ormai tutto governa qui da noi, abbia uno strutturale deficit di laicità, è perfino banale scriverlo.
Vediamo ogni giorno replicarsi l’eterno immobilismo legislativo e burocratico sui “diritti civili”: le unioni di fatto (variamente definibili), i limiti alla ricerca scientifica, lo scandalo delle obiezioni di “coscienza” da parte di tanti medici alle pratiche abortive, il fine vita… Sono decenni su decenni di ritardo, accumulati in pura continuità centrodestra-centrosinistra.
Il “riformismo” (termine ormai vuoto di contenuto) del Partito Democratico è rimasto solo sulla carta. E’ fin troppo facile vedere nelle sentinelle cattoliche, avanguardie clericali presenti in tutti i partiti, e in primo luogo proprio nel PD, il principale freno a ogni innovazione, a ogni misura di giustizia e libertà. Ma la situazione attuale è anche una conseguenza di un dato piuttosto antico e assolutamente radicato, che ha segnato quasi tutta la storia della sinistra comunista e post-comunista italiana. Il PCI, fin dall’epoca del ritorno di Togliatti in Italia, è stato costantemente attratto dal mondo cattolico, gerarchie comprese. Il PCI e i partiti post-PCI hanno coltivato il progetto, progetto che oggi informa anche il partito di governo, di arrivare a una alleanza con la chiesa e il potere democristiano. Ne scrive in questo libro Massimo Teodori, e lo fa ponendosi in una posizione eccentrica rispetto alle due chiese nazionali del Novecento (cattolica e comunista), e invece rifacendosi alla tradizione minoritaria del riformismo democratico e liberale.
L’ambizione delle classi dirigenti comuniste nasceva da un “innamoramento” più o meno disinteressato, più o meno ideologico, o piuttosto soltanto tattico e strumentale. Il PCI si è sempre mosso da una constatazione (che è anche già una scelta): in Italia non si può governare senza l’appoggio della chiesa e, più in generale, delle “masse cattoliche”, come si diceva un tempo.
Il problema è che questo dialogo privilegiato con i cattolici, coincise sempre per il PCI, e specie per quello berlingueriano, con un’avversione con un’avversione furente per il mondo liberale, libertario e riformista di stampo europeo. La segreteria di Berlinguer ha rappresentato forse il culmine di questo atteggiamento anti-liberale del PCI. Il “cattocomunismo”, così come immaginato da parte comunista. avrebbe potuto portare addirittura a un superamento della vecchia democrazia liberale, verso una nuova “democrazia progressiva”. Il modello rimaneva quello delle democrazie popolari. Il moralismo berlingueriano (che avrebbe sposato la causa della “questione morale” quando il compromesso storico si rivelò un fallimento e un abbaglio) riusciva a combinarsi bene con il cattolicesimo di sinistra, con quel vario movimento che che si rifaceva a figure di integralisti come Dossetti e La Pira.
Per questo, anche per una progressiva (e sempre auspicata) confluenza di fatto fra residui filosovietici e una visione tradizionale-clericale della società italiana, il PCI fu così tentennante e contraddittorio in occasione delle battaglie sui diritti civili degli anni Settanta: sempre di rincorsa, sempre timoroso di rompere con il mondo cattolico. Negli anni cruciali della modernizzazione del Paese, il PCI coltivava idee conservative, anti-moderne, persino anti-consumistiche, in nome di una austerità sostanzialmente non liberale, e sicuramente anti-libertaria.
Se già alla Costituente – con il famigerato voto favorevole all’inserimento dei Patti Lateranensi nella Carta – il PCI prese questa strada, oggi ci troviamo davanti un cattocomunismo (che non si può più neppure chiamare tale, visti i rapporti di forza interni al PD) ridotto a semplice blocco di potere. Il Partito Democratico è un partito sostanzialmente clericale e anti-liberale.
Il populismo mediocre del PD di Renzi ha conservato questo clericalismo nel suo patrimonio, e non solo strumentalmente. La sinistra comunista, del resto, ha sempre avversato ogni modello “alternativo” di famiglia e di sessualità rispetto a quelle tradizionali o “naturali”. Non riporteremo qui le grevi battute omofobe e razziste di Togliatti (ma cercate quello che scrivere di André Gide su “Rinascita”). Invece, pensiamo al fatto che un giovane Berlinguer, nel 1947, affermava che le giovani comuniste avrebbero dovuto ispirarsi, per il loro stile di vita, a donne come Irma Bandiera e Maria Goretti. Il problema è che in seguito non avrebbe cambiato idea, o almeno non abbastanza.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 29, issue no. 32, january 2016
issn: 2037-0857
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