Interno rosa. Letteratura femminile giapponese (I)
Alessandro G. De Mitri
Per il secondo anno consecutivo il festival ‘Calendidonna’ di Udine, dedicato al mondo femminile, è stato incastrato nella serie di manifestazioni ‘Udine Porta a Oriente’, assieme al ciclo di incontri ‘Vicino/Lontano’ ed al ‘Far East Film Festival’ (che quest’anno festeggia la decima edizione); nel 2007 l’obiettivo era la Cina, l’anno scorso, sotto il titolo ‘Geisha/no geisha – Giappone III millennio’, la messa a fuoco è stata sulle articolazioni femminili e femministe della cultura del paese del sol levante. Contornato da laboratori di arti nipponiche, dall’ikebana all’origami, dallo shiatsu ai manga, dalla calligrafia al bonsai, dal suiseki agli haiku ed alla cerimonia del tè, oltre che da una serie di mostre (kimono, paraventi, calligrafia, fotografia), da buffet a base di sushi e dall’immancabile festa di chiusura, Calendidonna ha portato nella città friulana film, documentari, performance teatrali e musicali, e soprattutto incontri con alcune scrittrici di spicco, emerse con prepotenza nel mondo letterario giapponese degli ultimi dieci anni: Taguchi Randy, Sakurai Ami, Kanehara Hitomi e Hasegawa Junko, tutte autrici di opere contr overse e di successo, recentemente tradotte in Italia. Con loro la regista Sohara Miyuki, la coreografa Kuroda Ikuyo, e orientalisti di spessore, come Gianluca Coci e Renata Pisu, coordinatori dell’evento, Antonietta Pastore, Paola Scrolavezza, Toni Maraini. La lotta per la conquista dei diritti della donna è stata illustrata dal documentario Beate no okurimono (il dono di Beate), storia della donna occidentale che si è battuta per la parità dei diritti in Giappone, contribuendo alla scrittura dei relativi articoli della Costituzione Giapponese.
Il pezzo forte dell’intera manifestazione è stato rappresentato dagli incontri con le quattro scrittrici invitate, che hanno delineato un quadro ambiguo sull’attuale momento della letterature nipponica, nella sua relazione con lo stato delle relazioni sociali, e sulla possibilità stessa di una letteratura femminile intesa come genere specifico. Le autrici si sono trovate anche di fronte a due ulteriori problemi: quello di affrontare i pregiudizi del pubblico occidentale sulla società giapponese, e quello di analizzare il loro lavoro a partire dai testi pubblicati nel nostro paese, che, pur essendo significativi, risalgono a qualche anno fa, e non sono che parzialmente rappresentativi delle loro tematiche. A differenza della reticenza mostrata dalla regista Miyuki Sohara, però, tutte le scrittrici si sono mostrate aperte al confronto sia nelle due conferenze che negli incontri in libreria, e ne sono uscite alcune considerazioni interessanti. Dalle loro parole traspare una particolare attenzione a non essere facilmente etichettate o fraintese, o ancora considerate meramente come un fenomeno commerciale. Si avvertono gli echi di un dibattito letterario fortemente caratterizzato dalla distinzione tra letteratura alta e libri di consumo – in Giappone si legge moltissimo, e la maggior parte degli scrittori produce a getto continuo saggistica, resoconti di viaggi, collezioni di articoli e trascrizioni di dibattiti, che si alternano all’uscita di romanzi e racconti. Tutte le autrici sono state molto attente nel nominare scrittori che possano averle influenzate, arrivando fino ad affermare di non essere grandi lettrici, e di essere concentrate esclusivamente sul loro lavoro.
Il rispecchiare i caratteri più “pop”del Giappone contemporaneo sembra essere, nelle loro parole, l’unico modo per mantenere il contatto con la realtà giovanile; realtà che a sua volta, dietro le mode e l’effimero, dietro l’attaccamento a modelli proposti da cinema e fumetti, cerca uno spazio (ed un tempo) di esistenza al di fuori della pressione omologatrice delle istituzioni. Il discorso si estende, da una generazione che non chiede tanto di essere capita quanto di non essere banalizzata, all’universo femminile, che ha guadagnato campo nel corso del dopoguerra, ma rimane condizionato da una mentalità confuciana molto più maschilista e tradizionalista di quanto si possa credere (in un paese che al turista appare come New York tra vent’anni), soprattutto nel mondo del lavoro. Ecco quindi che, se l’etichetta di ‘letteratura femminile’ viene ritenuta limitante e generica, la forza motrice delle donne nella scrittura contemporanea rimanda ad un filo rosso che corre lungo tutta la storia letteraria del ’900, da Higuchi Ichiyo ad Enchi Fumiko e Setouchi Harumi, e trova modelli già nell’antichità, non tanto per tematiche o stile, quanto per sottolineare la tradizionale tendenza delle donne alla riflessione su carta come riconoscimento di uno spazio privato (fin troppo semplice risalire a Murasaki Shikibu e Sei Shonagon, ed alla raffinata diaristica del periodo Heian, intorno all’anno mille). Ed è nei riferimenti scherzosi di Hasegawa Junko ad una donna che rifiuta la parità nel mondo del lavoro proprio perché non è interessata a giocare il gioco maschile dell’esclusione, del bullismo scolastico, dell’inferno degli esami, che ritroviamo la ricerca di uno spazio anche ludico, dove poter, semplicemente, respirare, vivere un ritmo diverso. Le parole chiave, le mete da raggiungere, a fronte di una società ossessionata dai rapporti formali, sono comunicazione (‘communication’) e identificazione (‘identity’); la violenza e la sessualità da un lato vengono descritte come un tentativo estremo di recuperare un senso del proprio corpo e della propria esistenza individuale, dall’altro, usate per cercare un contatto con le giovani generazioni o per aprire gli occhi ai benpensanti sul lato oscuro della società giapponese, sembrano esaurirsi in una rappresentazione sempre azzerabile e rinnovabile, come un video-game o, appunto, un manga, una forma di esorcismo moderno che, in senso ampio, non è del tutto fuori fuoco definire cyber-punk. La scrittura, quindi, corre sul filo che divide l’esercizio privato dalla rappresentazione dei tempi attuali, il realismo dalla finzione. L’identificazione può essere quella con l’immagine ritrovata di sé stessa tramite l’atto creativo, come in Kanehara, che sembra considerare il riconoscimento di un terreno comune da parte delle ragazze che leggono i suoi libri come una conseguenza e non come un fine, o quella spiccatamente mediata e ‘sociologica’ di Sakurai, la dimensione femminile può essere ludica, come in Hasegawa, oscura e morbosa (ancora Sakurai e Kanehara), o carica di energia sciamanica, come in Taguchi; sembra, semplicemente, che le ragazze abbiano una marcia in più.
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