philosophy and social criticism

La fragilità della virtù nella Francia travolta dalla guerra civile

Clotilde Doni

Jean Bodin, Paradosso della virtù, a cura di Andrea Suggi, Nino Aragno, Torino 2009.

L’unica edizione latina del Paradoxon di Jean Bodin risale al 1596. Pubblicata dal libraio parigino Denis Duval, l’opera era però già stata portata a termine – è lo stesso Bodin a darne notizia – il 30 agosto del 1591. Cronologicamente, ma anche tematicamente, si colloca dunque molto vicino al Colloquium Heptaplomeres, uno degli ultimi e controversi scritti del giurista e «politique» francese che, proprio nel 1596, morì di peste a Laon, nel nord del paese.

Nel Colloquium, Bodin portava letteralmente in scena sette personaggi, rappresentanti di sette confessioni diverse, intenti a dibattere su quale fosse l’unica vera religione, senza peraltro arrivare a conclusione alcuna ma ammettendo la legittimità piena di tutti i culti. Non diversamente dal Colloquium, anche il Paradoxon, da poco proposto in una accurata edizione e con una documentata premessa di Andrea Suggi, è strutturato in forma di colloquio tra un padre e un figlio alle prese con un arduo problema di filosofia morale: perché «nessuna virtù può risiedere nel punto medio tra i vizi».

All’epoca della stesura del Colloquium Heptaplomeres e del Paradoxon, Jean Bodin era oramai giunto alla sua piena maturità, il contesto in cui studia, opera e scrive è quello della Francia devastata dalla guerra civile, priva di un sovrano legittimo e riconosciuto da cattolici e ugonotti. Il primo agosto del 1589, Enrico III era stato assassinato dal monaco domenicano Jean Clément, appartenente alla più intransigente tra le fazioni cattoliche allora in lotta, la Ligue o Sainte Union, alla quale Bodin apparteneva. L’assedio di Parigi, la paura e la violenza, la lotta apparentemente senza fine sono spesso esplicitamente rievocate e percorrono in filigrana le pagine del Paradosso della virtù. L’epistola dedicatoria, indirizzata a «Bernardo Potier, figlio di Ludovico», che dà il via al dialogo si apre proprio con l’immagine di una Francia lacerata dalle guerre civili, frammentata e ridotta a mero terreno di scontro fra belve.

Questa Francia, per Bodin, è una sorta di teatro, nel quale si sviluppano e si esasperano alcune delle vicende decisive per la storia della moderna Europa. Bodin struttura la propria riflessione sostenendo «l’esistenza di un nesso costitutivo, organico e necessario – scrive Suggi nella sua nota – tra l’incomprensione dei fondamenti della morale, doveri disattesi, giustizia tradita e cristi della società francese», ma al tempo stesso interpreta le guerre di religione come effetto e sintomo di un male che ha colpito la società a livello endemico e più profondo di quanto potrebbero far credere le «semplici» differenze dottrinali o di posizione politica. Tema chiave del Paradosso, oltre alla polemica antiaristotelica sulla natura del bene e del male, è infatti quello del nesso stringente e rigoroso tra bene, giudizio (divino), comportamenti umani e pacifica convivenza sociale.

Bodin configura infatti la guerra civile come una sorta di effetto del mancato rispetto del principio di equità e giustizia al quale dovrebbe conformarsi il vivere comune e civile. È a questo punto che Bodin, autore anche della celebre Démonomanie des sorciers, mette in scena i demoni. Sono loro, configurazione atipica dell’ira di Dio, a estinguere in forme e modi terreni la sua irritazione verso gli uomini. Solo il ripristino di un principio di equità e di coerenza etica può, nella visione di Bodin, ricomporre i dissidi e drenare il sangue che fuoriesce da corpi e istituzioni.

Ma la visione del giureconsulto francese, cupa nell’analisi, lo è meno nei presupposti «morali». Così come «possono» il male, gli uomini sono in grado di praticare anche la virtù e il bene. Sono ancora e sempre loro il «mezzo» – l’unico – per edificare una società giusta, plurale, e forse persino eticamente «felice».

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ISSN:2037-0857