La macchina Gadda
Francesco Paolella
Carlo Emilio Gadda era un “archiviòmane” (per autodefinizione): annotava tutto e conservava tutto: appunti, lettere, quaderni di scuola. Grazie a questa sua mania conservativa, oggi la sua opera, il suo laboratorio di scrittura, è diventato anche un cantiere fra i più interessanti della filologia d’autore del Novecento italiano.
Paola Italia, fra i massimi esperti delle carte gaddiane, delinea in questo libro un profilo minuzioso dello scrittore lombardo proprio a partire dalla descrizione dei diversi “fondi Gadda”, oggi conservati in diversi archivi e sui quali già da anni sono attivi importanti progetti di digitalizzazione. Possiamo così, ad esempio attraverso un’analisi dei titoli della sua biblioteca o, soprattutto, grazie agli studi filologi sulla genesi dei suoi racconti e dei suoi romanzi (correzioni, inserimenti ecc.), farci un’idea dell’enorme lavoro preparatorio a cui Gadda si sottoponeva per cercare di imbrigliare la realtà, con il suo labirinto di cause e concause, dentro la scrittura.
La scrittura gaddiana, e l’impalcatura teorica che ne è alla base, si trova al crocevia fra filosofia e letteratura – e basta andare a rileggere la Meditazione milanese, uscita postuma nel 1974 per rendersene conto. Gadda ha sempre cercato di rappresentare il mondo partendo dai fatti, dal dato storico-biografico: “Così lavora Gadda: partendo dalla realtà, da esperienze direttamente vissute, da parenti e conoscenti, zie e controzie, nonne e contrononne, amici, compagni di scuola e di gavetta, ingegneri e muratori, nobildonne, garzoni del macellaio e direttori d’orchestra, personaggi incontrati per caso e conosciuti da tempo, tutti osservati con l’occhio dello storico (la realtà è comprensibile solo nelle sue risonanze del passato) e dell’uomo di scienza (la realtà è comprensibile solo se parte di un sistema integrato)” (p. 20).
Allo stesso tempo, Gadda ha tentato (ma invano, e per questo si può dire: tragicamente) di contenere i fatti nella razionalità, cercando in primo luogo di non tralasciare nulla – pensiamo soltanto alle sue enumerazioni, ai suoi cataloghi. La tensione conoscitiva, da una parte, e quella lirica dall’altra, convivono in lui e permeano la sua lingua. Volendo rappresentare non solo le cose in sé, ma anche le relazioni fra di esse, è necessario che anche il linguaggio si complichi, si moltiplichi, fondendo insieme dialetto, linguaggio tecnico, neoformazioni. Gadda è davvero lo scrittore della complicanza, e sono più che mai azzeccate, a tale riguardo, queste parole di Calvino riportate nel libro: “Il procedimento di Gadda va dal complicato al complicato, dalla complicazione subìta alla complicazione prestabilita e poi subito di nuovo soverchiante, di cui la formula algebrica è solo un facile schermo” (p. 24).
Gadda combatteva contro ogni cedimento al facile sentimentalismo e si affidava anzitutto alla crudezza delle parole. La eccezionale autocoscienza del proprio lavoro lo portava a esercitare su di sé una severa disciplina: “Il suo ‘metodo’ è anche una disciplina antinarcissica. Lo scrittore infatti deve guardarsi dal cadere in tentazioni egolatriche, nel culto della propria anormalità” (p. 9).
I fatti non devono essere ricoperti dalle proiezioni dell’io con le sue nevrosi. Per questa ragione, per riuscire a rendere la realtà, inseguendola con tutte le descrizioni e le associazioni possibili (e quindi deformandola), serve una sospensione, una presa di distanza dalla propria coscienza. Questa razionalizzazione, letteralmente infinita, non può riuscire nel proprio intento. Di qui l’incontentabilità di Gadda e la (magnifica) inconcludenza della sua narrazione.
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philosophy and social criticism
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