philosophy and social criticism

La rivoluzione dell’antico

di Francesco Paolella

Questo libro di Duccio Demetrio può essere considerato come un esercizio di memoria e un tentativo (pacato, lento, modesto, d’altri tempi, mi verrebbe proprio da dire) per attirare l’attenzione verso ciò che, al giorno d’oggi, è assai poco considerato: l’antico. Anche se non ce ne accorgiamo quasi più, noi viviamo immersi in ciò che viene e ci riporta al remoto, alle origini misteriose ed arcane di ognuno e di tutti; pensiamo soltanto a quanto antico è conservato nelle nostre stesse parole. Noi viviamo grazie a ciò che non abbiamo mai conosciuto, a ciò che sempre ci trascende e a cui però, invano, vorremmo ritornare.

Sgombriamo subito il campo: l’antico – e l’essere all’antica – è tutt’altro che il vecchio, l’antiquato. L’antico è, al contrario, ciò che mai può essere superato. Chi pensa di poterne fare a meno, chi pensa di potersi emancipare dalle memorie e dalle radici, vive come per finta; e giustamente Demetrio libera il campo dagli stereotipi – sempre così diffusi – sul carpe diem e sulle para-filosofie che invitano a ridursi all’attimo, a un “adesso” effimero e insipido.

Cercare l’antico in angoli sempre più nascosti e trascurati (una casa, un giardino, un libro), custodirlo come un bene essenziale eppure “povero”, frugale, coltivarlo facendolo entrare nelle nostre vite, tutto ciò significa scegliere la via della gentilezza e dell’attenzione, delle piccole virtù e di una saggezza che può realmente restituire un po’ di pace, di leggerezza e di riposo.

Coltivare l’antico non è, ovviamente, una semplice consolazione e non significa rifugiarsi nella conservazione o in facili nostalgismi; può essere, all’opposto, una prassi rivoluzionaria, perché può togliere un uomo da un presente intollerabile.

Essere all’antica, in altre parole, significa autoeducarsi a cogliere non l’attimo, ma la pienezza della durata, la continuità vitale che dà significato al nostro tempo impoverito. Può essere davvero una gran cosa avere un buon rapporto, consapevole, con le origini, con ciò che di umano non passa e, anzi, permane. L’antico è, allo stesso tempo, umile e solenne; ci insegna a essere distaccati e attenti; ci consegna una immensità che ci appartiene da sempre e senza doversi per forza rivolgere al metafisico, al religioso.

Va da sé, tornare all’insegnamento dell’antico, accorgersi del patrimonio che tutti abbiamo davanti agli occhi, pur essendo quasi invisibile, significa facilmente rivolgersi alla poesia; alla poesia che popola i libri, ma anche alla poesia naturale delle cose conservate nelle cantine, alla poesia delle vecchie fotografie e delle vecchie lettere. In questo senso, Demetrio ha scritto un libro risuscitando lo spirito crepuscolare di Guido Gozzano, mostrandoci quanta vita, quanta sapienza possano nascondersi in ciò che è nascosto, scartato, muto.

L’antico può darci, dunque, una grande libertà, permettendoci di sfuggire alle ansie del nostro tempo sempre più accelerato.

TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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