philosophy and social criticism

Voci e potere. Sulla storia del ventriloquio

di Francesco Paolella

Steven Connor, La voce come medium. Storia culturale del ventriloquio, Luca Sossella Editore, Roma, 2021, 486 pagine

on è facile scrivere qualcosa su questo libro di Steven Connor, La voce come medium, che l’editore Luca Sossella rimanda ora in libreria in una nuova edizione accresciuta. Non è facile anzitutto per il tema, solo apparentemente marginale (la storia culturale del ventriloquio) e non è facile per la potente profondità con cui esso vi viene trattato. Al centro di questa ricerca, vi sono aspetti fondamentali della vita degli uomini, come il rapporto fra il proprio corpo e quello degli altri, come i rapporti di potere e gli strumenti per esercitarlo. Al centro ci sono soprattutto la voce umana, il pianto e le grida, così come la potenza che può esservi nascosta.

Connor, occupandosi del ventriloquio – pratica antica quanto il mondo e che oggi appare assolutamente residuale, per non dire scomparsa –, si occupa di tutto ciò che da esso pare derivare, in un meccanismo misterioso di immersioni e riemersioni col passare dei secoli e delle culture. Muovendosi dall’epoca degli oracoli e delle profezie, passando per il tempo in cui si credeva alle possessioni diaboliche e giungendo al mondo attuale segnato dal digitale e dalle comunicazioni immateriali, troviamo in queste pagine sempre uno stesso spaesamento che ritorna uguale, davanti a voci dissociate, a voci dall’origine incerta e nascosta. La voce dei ventriloqui – che oggi posson prendere la forma di un altoparlante o di un altro apparecchio elettrico – è sempre fonte di ansia ed è sempre percepita come pericolosa: genera confusione ed è una voce che parla da una profondità incontrollabile e minacciosa. Oggi è, appunto, il rapporto fra tecnologia e corpi viventi, che si manifesta in voci inumane con le quali eppure parliamo di continuo, a rendere palpabile quello smarrimento atavico, così come – nel diciannovesimo secolo – l’invenzione del telefono è stata percepita anche in funzione delle contemporanee ricerche dello spiritismo e dello sconcerto che ne derivava. C’è sempre stato, quindi, un lato “rischioso”, esorbitante, del ventriloquio, inteso letteralmente come voce che esce misteriosamente (o proprio demoniacamente) dal ventre (specie se femminile).

La grande cesura in questa storia è avvenuta con il diciottesimo secolo, allorquando – nell’ambito di una complessiva contestazione razionalistica delle superstizioni, dei miracoli e della visione teologica del mondo – anche il ventriloquio (considerato come elemento indispensabile dell’esorcismo) fu sottoposto a una radicale demistificazione, riducendolo a fenomeno puramente fisico e, soprattutto, ad essere sostanzialmente considerato un inganno. In altri termini, la questione non era più quella di dialogare – nello spettacolo dell’esorcismo anzitutto – con il diavolo, ma di scovare nel ventriloquio un “prodigio” puramente corporale. Questa mondializzazione delle voci soprannaturali (ridotte a essere voci viscerali) – che si manifestò anche in ambito letterario, pensiamo soltanto a I gioielli indiscreti di Diderot – ha dato il via a una successiva spettacolarizzazione del ventriloquio, il quale ha rappresentato nell’Ottocento e in parte del secolo successivo una delle attrazioni da varietà, da baraccone e, poi, da televisione.

Le spiegazioni del fenomeno hanno iniziato a riguardare direttamente anche la sfera emozionale del pubblico, ma, nonostante tutto, non è stato mai davvero eliminato quel disagio che, immancabilmente, sorge in chiunque ascolti una voce che sembri provenire da un altro mondo o che, ad esempio, faccia parlare un automa o un altro oggetto. Così, i pupazzi (vi ricordate Rockfeller nella televisione degli anni Ottanta?) possono iniziare a parlare grazie a un potere mai davvero chiarito nella sua origine e che ripropone l’eterno contrasto fra la certezza che la vista sa garantire e l’incertezza dell’udito.

TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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