philosophy and social criticism

L’Europa malata di Simenon

Aankomst Georges Simenon (auteur) op Schiphol, hier tijdens persconferentie
*10 mei 1965

di Francesco Paolella

Al di là del valore letterario di questi reportages d’autore, scritti da Georges Simenon in giro per il mondo nel fatidico 1933, fa non poca impressione leggervi oggi, pensando ai mesi e agli anni che ci attendiamo, di fame e miseria indecorose, di masse di derelitti pronti a credere a chiunque pur di ottenere un nuovo senso all’esistenza propria o del proprio Paese. Tante pagine di questo Simenon, dedicate alla Polonia o al Belgio, alla Russia o alla Turchia, sono davvero – come giustamente sottolinea Matteo Codignola nella postfazione al libro – delle vere istantanee, attimi colti da Simenon in angoli di vera disperazione. Lo scrittore belga sa riportarci la vergogna e l’impudicizia della miseria, come potremmo trovare in Zola ad esempio. Simenon ha cercato di soddisfare la sua curiosità, talvolta un po’ “aggressiva”, andando dietro le facciate presentabili e consolanti delle città, cercando in particolare la nuova povertà emergente, quella nata con il dopoguerra e ben diversa dall’altra, atavica, eterna, che da sempre accompagna le società umane. E ciò emerge sia nel racconto di un miserevole mercatino di Odessa sia in quello dedicato ai retroscena scandalosi che riempiono la vita segreta dei grandi alberghi di lusso di tutta Europa. Con Simenon tocchiamo sempre l’alto e il basso, il meglio e il peggio dell’umanità.

C’è, però, sicuramente, rispetto all’Europa del 1933, fatta di piccole patrie, rinascite nazionali, guerre mercantili e frontiere presidiate, una grande differenza rispetto al nostro mondo attuale: le “crisi” non sono più “crisi di crescita”, come erano allora, e, più in generale, la politica (intesa anzitutto come uso del potere al servizio di una ideologia) pare aver abbandonato definitivamente la scena.

Rimane, invece, la paura sempre più assillante di perdere tutto, di trovarsi smarriti da un momento all’altro; la paure di finire, in poche parole, come i kulaki, così odiati e vilipesi nel mondo sovietico. La miseria dei kulaki – ovvero di quelli che, in pratica, non avevano saputo accettare la nuova razionalità leninista e che, semmai, si ostinavano a a nascondere gli ultimi gioielli di famiglia contro i rapaci della GPU – è forse la più terribile di tutte: è la miseria di chi si è visto spogliare improvvisamente di tutto, è la miseria a cui è impossibile abituarsi, è la miseria da incubo, in cui si vive trascinati dalla fame, condannati a vagare senza possibilità di salvezza. Simenon, del suo viaggio in Unione sovietica, ci trasmette, però, anche la stupidità propria della paranoia comunista e ci descrive l’URSS come il regno, nato corrotto, dei “funzionari con la valigetta”, ossia dei nuovi potenti che decidevano della vita e della morte di intere generazioni, liquidandole come “sacrificabili”, in nome del progresso socialista.

Il 1933 di Simenon è fatto di violenza, visibile o ancora nascosta: tutto ciò che il dopoguerra e la crisi del ’29 hanno portato – l’inflazione, una confusione morale convulsa, una specie di disordine decadente e allucinato – iniziava allora a farsi sentire davvero, a far pensare a una nuova guerra e alle tante guerre sociali, come unici sfoghi possibili. Il bisogno di estremismo – rosso o nero che fosse – era forse l’unico sollievo possibile davanti a quel disordine e alla miseria sempre più minacciosa. Questo libro di Simenon ci riporta, insomma, all’epoca in cui l’Europa era davvero malata e viveva sotto il giogo di una svalutazione etico-politica che l’avrebbe condotta alla rovina. Alla fine, solo l’Europa contadina, lenta, conservatrice e individualista, insomma l’Europa antimoderna, pur con tutti i suoi difetti, esce in qualche modo bene da queste cronache: solo il vecchio buon senso francese, solido e un po’ ottuso, riesce a consolare Simenon.

TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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