Maria, una vergine dal corpo angelico
Alfonso M. di Nola
Mercoledì 10 luglio nel suo discorso rivolto ai fedeli, il pontefice ha richiamato all’obbligo della fede e della dottrina un’antichissima credenza ideologica del Cristianesimo quella della verginità della Madonna prima, durante e dopo il parto in contrasto con le più recenti interpretazioni soprattutto tedesche che di quella credenza hanno fatto un elemento puramente metaforico e mitologico.
Si tratta di una credenza che i primi estensori degli evangeli e soprattutto gli ignoti autori degli apocrifi inserirono con insistenza all’interno del culto cristiano che d’allora sempre più andò perdendo la sua originaria portata cristologica e si andò trasformando in una vera e propria mariolatria. Quest’ultima solenne dichiarazione scinde nettamente il pensiero riformato da quello cattolico e spiega l’affanno che ha accompagnato il pontefice nelle sempre più frequenti visite e santuari mariani e ha connesso in modo indivisibile il culto della Madonna all’annunzio evangelico.
Caratteri miracolosi
Intanto questo fenomeno ha origini molto precise e si presenta fin dai primi secoli della polemica cristiana quando, mediante leggende più o meno diffuse, si tenta di sollevare il Cristo, attraverso la nascita verginale, al carattere miracoloso che distingue la venuta al mondo di altri esseri divini o semidivini. Anche il Buddha nasce non già da unione carnale ma dopo che un elefante divino ha toccato il ventre della madre. Vergine è anche la madre di Zoroastro e, nella tradizione ellenistica, a noi più vicina, Latona concepisce e partorisce senza segno di travaglio Apollo.
Mentre negli evangeli canonici si fa soltanto un breve cenno al concepimento di Maria senza il concorso di un uomo, gli apocrifi, che appartengono a una ricca letteratura fantastica respinta dal canone della chiesa, ricorrono frequentemente al tema. E si tratta soprattutto degli apocrifi della nascita e dell’infanzia di Gesù che la chiesa antica accettò senza alcuna difficoltà nella sua comune dottrina. I passi evangelici che riguardano la nascita si complicano per almeno tre elementi risultanti dal testo: il matrimonio di Maria, i fratelli di Gesù e la purificazione dopo il parto. Sul fondamento di tali elementi, si poteva supporre che Maria, per il suo matrimonio, non fosse stata vergine prima del parto, o che avesse partorito altre volte dopo avere avuto Gesù, o che nel parto medesimo avesse perso i segni materiali della verginità, essendosi assoggettata alla purificazione della puerpera secondo la legge mosaica.
Aggiungasi a queste contraddizioni testuali la grave difficoltà che veniva dal tipo di genealogia secondo la quale soltanto a Giuseppe viene attribuita un’origine davidica, così che sembrava indispensabile riconoscere a Giuseppe un intervento nella concezione, se si voleva salvare la stirpe davidica di Gesù. La questione dell’interpretazione testuale si trasformò in accesa contesa ideologica. Alla fine del II secolo Celso, raccogliendo le insinuazioni che già da tempo dovevano circolare negli ambienti ebraici, spoglia crudamente Maria di ogni attributo divino: “La nascita di Gesù da una vergine è del tutto inventata. In verità egli è venuto fuori da un villaggio della Giudea ed è figlio di una povera contadina che filava per guadagnarsi da vivere. Fu ripudiata dal marito, che faceva il falegname, per essere stata riconosciuta rea di adulterio, errò poi alla ventura e, infine, mise al mondo segretamente Gesù che è il figlio di un soldato di nome Panthera”.
Ma la credenza nella verginità non veniva insidiata soltanto dalla calunnia di Celso, che si presentava abilmente contrabbandata sotto il crisma di una relazione cronistica, e dalle analoghe testimonianze giudaiche delle quali rimane l’eco nel Talmud e nel tardo Toledoth Jeschu. Vi era già nel I secolo il più grave rischio di quella scuola cristologica che, nota sotto il troppo generico nome di docetismo, si infiltrò in molte posteriori eresie, dallo gnosticismo di Basilide, di Valentino e di Marcione al manicheismo.
Con Sant’Agostino
Nella sua più corrente formulazione, il docetismo insegnava che l’unione della natura umana e divina nel Cristo ripugnava all’essenza di Dio; che il Cristo non aveva perciò avuto corpo carnale, ma solo un corpo detto “fantastico”, simile a quello degli angeli, che nacque, visse e sofferse solo apparentemente.
La polemica sembrò concludersi, almeno nei termini di massima, con l’opera chiarificatrice di Sant’Ambrogio e di Sant’Agostino che proclamarono la triplice verginità, secondo la formula che appare nel testo apocrifo dello Pseudo-Matteo: “Vergine quando concepì; vergine quando fu incinta; vergine nel parto; vergine dopo il parto”. Gli apocrifi pongono, innanzi tutto, riparo al problema della genealogia davidica di Maria che considerano il presupposto storico della sua verginità. Le inventano così un ceppo familiare formato da alcuni personaggi extrascritturali, fra i quali i più noti sono Gioacchino e Anna.
Tutte le fonti
La verginità nel parto rimane tuttavia il punto intorno al quale gli apocrifi del ciclo mariano concentrano la loro preoccupazione documentale. Il Pseudo-Matteo, e più ancora la lunga redazione dell’Evangelo armeno dell’infanzia, sulla scorta delle loro fonti, vogliono esibire le prove tangibili delle circostanze che accompagnano il mistero della nascita divina, e non si trattengono dal ricorrere alle corpose immagini delle levatrici e dell’ispezione ostetrica.
Questa ispezione prende nella storia della tradizione l’esplicito nome di inspectio vaginae ed è fatta da una donna miscredente che accerta con la mano, poi arsa, l’integrità del sesso della Madonna: il motivo ricorre iconograficamente in una delle formelle della basilica di Ravenna.
[da il manifesto, 14 luglio 1996]