Omaggio a Hamsun
Thomas Mann
Sono molto imbarazzato mentre mi appresto a festeggiare Hamsun. Le sue prime opere poetiche, sbocciate verso la fine del secolo, hanno fatto parte delle più fervide esperienze letterarie della mia gioventù: il punto culminante della sua opera, I frutti della terra, fu anche per me l’evento sconvolgente che questo splendido libro ha rappresentato a quel tempo per tanti cuori tedeschi tormentati dalla guerra. Come rendere giustizia a ciò che mi ha legato per tutta la vita alla sua opera, a quella simpatia, quel rapimento, quel conforto e quell’incoraggiamento che essa mi ha sempre dato lungo l’intero arco di una generazione, con parole che, al di là dell’ambito personale, dovrebbero tendere più in alto, verso un esame elogiativo della sua importanza per il romanzo europeo? Sarebbe impresa adatta ad un ricercatore, e la solennità di questo giorno non è il momento adatto. Pertanto, quel che voglio dire oggi è destinato in anticipo ad essere insufficiente e impacciato e sono davvero felicissimo di avere un giorno colto al volo, con la prontezza di un giornalista, l’occasione – è stato all’uscita di Donne alla fontana – per confessare rapidamente sino a che punto apprezzassi la grandezza delicatamente sfumata di Hamsun; egli lo ha sicuramente saputo, dal momento che il suo biografo tedesco Walter A. Berendsohn cita le mie righe nel suo libro. «Lo ho sempre amato, sin dalla mia gioventù. Mi sono accorto di buon’ora che né Nietzsche, né Dostoevskij, dopo la morte, avevano lasciato nei loro paesi un discepolo di questa levatura. Gli incanti incomparabili dei suoi mezzi artistici mi ammaliavano già quando avevo diciannove anni e non dimenticherò mai quello che hanno significato allora per la mia ricettività di giovanotto Fame, Misteri, Pan, Victoria, le sue novelle e il diario dei suoi viaggi. La gloria mondiale che è ricaduta sul suo nome con l’attribuzione dei premio Nobel mi ha riempito di una soddisfazione veramente personale; trovavo che mai esso fosse capitato ad un poeta più degno di averlo». E tentai di cogliere l’umorismo amorale, pieno di una vita sfrenata, di Hamsun, la sua padronanza del comico che ha trovato nuove conferme dal giorno in cui scrisse Fame. È, dicevo, uno di quegli autori la cui lettura fa nascere un riso solitario, scaturito dalle profondità – un fenomeno inquietante, se lo si considera da vicino. Nella mia critica, mi sforzavo di definire tutti gli elementi di fascino, le astuzie tecniche, le intensità poetiche e gli sconvolgimenti intimi che costituiscono il segreto dell’incanto infinitamente amabile di questa arte – di un’arte che mescola la più grande raffinatezza con la semplicità dell’epopea originaria e che, incivilita sino all’estremo, conserva nondimeno una tradizione culturale etnica, i più antichi elementi della poesia popolare nordica, lo spirito dei canti della Saga.
È questa mescola costitutiva della sua personalità spirituale e artistica che andrebbe senz’altro analizzata prima d’ogni altra cosa se si scrivesse uno studio serio su Hamsun. Berendsohn racconta il seguente aneddoto: un giorno il poeta ricevette una lettera da un austriaco; quest’uomo aveva letto il colossale libro contadino I frutti della terra; era, diceva, nevrastenico e chiedeva se non potesse venire a vivere a casa degli Hamsun. Il poeta gli rispose che un nevrastenico in casa era sufficiente. Il poeta de I frutti della terra nevrastenico! Sicuramente il malinconico austriaco rimase sconcertato e sbalordito. Il fatto è che, per chi non ha che approssimative esperienze della salute o della malattia, vi è qualcosa di sconvolgente nel fenomeno di raffinamento sano e di salute raffinata che Hamsun dipinge in un modo incantatorio, nel disaccordo organicamente riconciliato fra la tenica più fin de siècle, squisita ed astuta, e il conservatorismo contadino delle sue opinioni, fra la modernità e l’internazionalità democratiche, il progressismo assai evoluto della sua arte e l’aristocraticismo del suo attaccamento alla gleba e alla natura, da cui sono venuti tutti i colpi di maglio e le manifestazioni volontarie contro la società, la politica, la letteratura, la democrazia e l’umanità che egli ha assestato al mondo; insomma, egli è la gemma prodigiosa, e forse l’ultima, di quell’individualismo nordico che non porta esattamente nel proprio cuore la frase di Schiller secondo cui «l’uomo non ha che troppo bisogno per arrivare ad uno scopo elevato». L’elemento sociale manca alla sua spiritualità – ed è il motivo per cui egli non può svolgere un ruolo di «guida» ai giorni nostri, quando anche i recalcitranti sono abituati a vedere nell’ambito politico e sociale l’elemento predominante della loro epoca. Se la guerra, durante la quale (non dimentichiamocelo mai!) Hamsun era a fianco della Germania; se la guerra, dico, non è stata una semplice idiozia, se ha avuto un qualche senso, è quello di un’azione generale dell’Europa, purtroppo necessaria, volta a condurla ad un nuovo stadio della sua formazione sociale. Ne risulterebbe una situazione spirituale in cui l’individualismo nordico e gli attacchi sfrenati contro la società non sarebbero davvero chiamati a prendere le redini. Tanto peggio! Noi, che consideriamo l’amore di questo grande poeta come un superamento dei contrasti spirituali, una liberazione che ci permette di contemplare la vita, non abbiamo niente da perdonargli; ma quando la reazione politica lo loda e se ne serve come di una propria carta, stia in guardia! Essa gli perdona la sua arte per far sfoggio delle sue opinioni. E adesso una parola su quel che c’è stato fra noi due; ho puntualizzato le cose in privato, ma desidero farlo anche pubblicamente in questa bella occasione. Il professor Berendsohn, che ho citato più volte, un uomo che ha acquisito grandi meriti per quanto concerne l’apprezzamento di Hamsun, aveva, in uno studio su di lui, espresso un rilievo critico o biografico o avanzato l’ipotesi che ad un certo momento della sua evoluzione letteraria il poeta norvegese fosse stato impressionato o influenzato da uno scrittore tedesco contemporaneo, cioè da me. Hamsun gli replicò immediatamente; sfortunatamente, credo in occasione di un’intervista, questa opinione riapparve sulla stampa e Hamsun allora perse le staffe. Scrisse per un giornale del suo paese un articolo fulminante che comparve in seguito sulla stampa mondiale, in cui trattava molto male il professore dal fiuto eccessivo, che non era stato animato da alcuna intenzione malevola; non ammetteva, diceva, un’ipotesi che metteva la sua originalità in discussione in un modo così falso; tutto quel che conosceva di me, erano I Buddenbrook e, ignorando completamente le lingue straniere, aveva letto quel libro solo di recente, in una traduzione norvegese; di conseguenza, non aveva avuto né il tempo né l’occasione di prendere lezioni da me, e consigliava allo storico della letteratura tedesca di non lasciare la briglia per la terza volta alla sua ambizione nazionale con un’affermazione di tal genere. Questi sono all’incirca i termini della bellicosa dichiarazione, che ha fatto sensazione. lo stesso ho avuto notizia dell’incidente solo molto tardi, soltanto qualche settimana fa, e la cosa mi è giunta assai sgradita. Dovevo credere forse che quest’uomo, che rispettavo, potesse aver trasferito su di me, innocente, una parte della sua irritazione, e che potesse addirittura sospettare che il mio compatriota Berendsohn ed io fossimo conniventi nel diffondere quella voce scandalistica? D’altro canto, mi accorgevo nettamente dell’ingenuità di quella venerabile indignazione, che non aveva rapporto con la manifesta assurdità della supposizione avanzata: Hamsun ha quindici anni più di me; quando la sua gloria penetrò da noi io ero nelI’età più ricettiva, nell’età del dono totale, quando si è disposti ad amare, ammirare e imparare; la sua magnifica arte – che naturalmente, dal suo canto, ha anch’essa subito delle particolari influenze, come avviene a qualunque scrittore, e non sarebbe diventata proprietà europea se non avesse saputo trarre il suo nutrimento dall’Est e dall’Ovest -, la sua arte divenne un elemento importante della mia cultura, mi aiutò soprattutto a precisare la mia idea dell’espressione poetica, e in fin dei conti si fa un torto alla mia biografia quando si rovesciano di senso dei fatti spirituali significativi, come è accaduto con questo irritante errore del biografo di Hamsun. Tramite il suo editore tedesco, ho fatto dire ad Hamsun: l’opinione di Berendsohn, uomo di grandi meriti, è incomprensibile e assurda; se esiste un rapporto di influenza e di dipendenza, è esattamente nell’altro senso; ma mi sento tanto più obbligato a ripetere questa dichiarazione in quanto Hamsun, in occasione della sua polemica contestazione di allora, ha trovato per la mia opera giovanile parole di stima (che sono state riprodotte sulla nostra stampa con un’inesattezza che ne diminuisce la portata) in cui sarei felice di vedere la lieta chiusura dell’incidente. Salutando cordialmente il maestro per ìl 4 agosto, lo assicuro che i suoi elogi sono, per me, la più bella onorificenza che mi sia stata accordata nella mia vita di scrittore. (1929)