Un fotografo partigiano. Su una mostra di Mario Dondero
Francesco Paolella
«Troppa estetica uccide la verità»: è questa una formula molto efficace per riassumere poetica di Mario Dondero, fotografo degli intellettuali e dei resistenti (a proposito di formule), e che riprendiamo da un suo recente volume.[1]
In Dondero la fotografia appare anzitutto come movimento, come movimento libero. La fotografia è davvero allora la capacità di scrivere documenti con la luce, di costituire degli archivi.
Il fotogiornalismo, la fotografia d’inchiesta, è sempre costretto a essere diretto. E’, in un certo senso, già di per sé sempre una fotografia politica. Deve seguire il mondo, farne parte, non ricrearne uno, un frammento, in laboratorio. E’ una scelta che richiede appunto di essere fotografi in movimento, e in movimento fra gli uomini. Accorgersi degli uomini, saperli scovare anche negli angoli dove sono confinati, saperli attendere, saper attendere che si riveli una loro essenza (di dolore, di creatività ecc.). Eppure, il fotogiornalismo – questo tipo di fotografia “impegnata” – deve riuscire a mantenersi estremamente lucido, razionale, programmatico: deve sempre ricordare da che parte stare, ricordarlo a coloro ai quali ha deciso di rivolgersi; è per sé testimonianza, volontà di fare sempre testimonianza, assumersi il ruolo di realizzare una “foto di gruppo”, per così dire: la “foto di gruppo” di un’epoca, di una lotta, di una guerra, di una mentalità, di una corrente letteraria, artistica e così via. Non soltanto fotografia di guerra quindi, o di devastazioni; no soltanto miseria o epidemie. Ma, ad esempio, ritratti: di scrittori, di intellettuali. Uomini importanti, visi conosciuti, forse non da tutti, ma evocativi, testimoni essi stessi: «Ho fotografato il mondo della letteratura perché la letteratura è sempre stata al centro dei miei interessi. Nelle foto degli scrittori, più in generale degli artisti, il mio obiettivo è sempre stato quello di immortalare il talento dovunque si trovasse, con una preferenza per ciò che consideravo un bene culturale comune, per l’opera di autori che facessero crescere la civiltà, che ci raccontassero quello che spesso non si racconta».[2] Insomma, la letteratura qui ha lo stesso ruolo della fotografia, così come è stata coltivata anche da Dondero e per la quale vale assolutamente il principio di Robert Capa, secondo il quale «la verità è la migliore propaganda».
Ecco ciò a cui fanno pensare le fotografie di Mario Dondero (classe 1928), attorno al quale l’interesse dei critici e del pubblico sta via via crescendo, e negli ultimi anni soprattutto. Dondero ha avuto, ha una esistenza bellissima. Da Genova a Milano, da Parigi a Roma. Un viaggio ininterrotto nella provincia italiana come nelle periferie del mondo. Nei suoi ritratti di Caproni, Grass, Pasolini (con la madre Susanna), in quello, bellissimo, di Gadda o in quello, che sembra davvero rubato, di Basaglia a Gorizia, ritroviamo anzitutto degli uomini: entusiasti, distratti, impegnati. Allo stesso modo, nel ritratto di un antico diffusore emiliano de “L’Unità” o nel viso di una ragazza parigina colto d’improvviso, ritroviamo tutta una umanità, la storia di un mondo, di un luogo, di un momento che è già nella nostra vita e nella nostra memoria.
Nella recente mostra, Dalla parte dell’uomo, allestita al Palazzo Ducale di Genova, troviamo alcune declinazioni di questo impegno di cui dicevamo per Dondero:[3] ecco gli scatti alla Sorbona del maggio ’68 – che riescono quasi a farci sentire l’aria densa di fumo di sigaretta; lo sguardo – che a noi oggi sembra davvero così rabbioso – di Licia Pinelli; o, per contrasto, il ritratto leggero e intenso a un tempo di Laura Betti. Ed ecco la violenza della guerra, con i corpi feriti o fatti prigionieri. Ma anche la violenza prodotta e sostenuta dalla miseria e dall’abbandono (in Occidente come in Africa). Allo stesso tempo, la dignità (pasoliniana più che mai!) dei poveri, che però sanno resistere alla miseria. Dignità che vediamo ad esempio ne Il lettore, fotografato ad Algeri nel 1962: un uomo non più giovane che fuma e legge un libro, seduto su un marciapiede, attorniato da altri volumi.
Alto e basso, per usare termini forse un po’ datati, convivono bene fra questi scatti. Serge Gainsbourg e Francis Bacon non sono lontani dai “marginali” o dalle vittime di guerra.
Note
1 Mario Dondero, a cura di Simona Guerra, Bruno Mondadori, Milano, 2011, p. 206.
2 Ivi, p. 65.
3 Cfr. Mario Dondero. Dalla parte dell’uomo. Genova, Palazzo Ducale 16 giugno – 19 agosto 2012. Il catalogo della mostra è edito da Il Canneto.
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ISSN:2037-0857