Una famiglia caotica per l’ironia di Elisabeth Kelly
Giulia Zoppi
Elisabet Kelly, Chiedi scusa! Chiedi scusa!, traduzione di Ombretta Giumelli, Adelphi, Milano 2010.
Pregio principale di Chiedi scusa! Chiedi scusa! (Apologize! Apologize!), debutto narrativo della giornalista canadese Elizabeth Kelly, è la forza dirompente con cui sono descritti i caratteri principali dei suoi protagonisti, l’energia inesauribile di una scrittura baldanzosa che si sprigiona sin dalle prime pagine, sorprendenti per l’ironia cinica e dissacratoria, tipica di una certa tradizione letteraria anglosassone.
Voce narrante del romanzo è Collie, primogenito dei Flanagan, famiglia dell’alta borghesia americana di origine irlandese residente a Martha’s Vineyard, che vive all’ombra del fratello minore Bing in una grande villa, insieme ai genitori: la madre Anais, figlia ribelle di Peregrine Lowell (detto il Falco per l’implacabile fiuto negli affari e la cattiveria tipica dei tycoons) idealista, spietata e romantica quanto le basta per foraggiare a suon di milioni, gruppuscoli di marxisti della prima ora in giro per il mondo, e il padre Charlie, bellissimo irlandese con l’abitudine alle sbronze, nullatenente, decisamente spiantato ma con una qualche attitudine alla famiglia, laddove Anais latita senza alcun senso di colpa. Li affianca lo zio Toni, fratello di Charlie, il «domestico» di casa, attaccato alla bottiglia quanto ai nipoti e ai piccioni viaggiatori, cui dedica gran parte del suo tempo libero.
Unico vero borghese di famiglia (sua l’eredità morale ed economica del nonno Peregrine, magnate dei media), Collie cresce nel caotico mondo dei Flanagan subendo angherie di ogni specie – soprattutto dalla madre che lo detesta per la forte somiglianza con l’odiato padre – e soffrendo per la posizione di minorità in cui è tenuto da tutti. Il suo sguardo dolce, rassegnato ma lucido, si posa sul fratello minore Bing che tutti adorano (lo sciupafemmine espulso da ogni scuola degli Usa, lo scapestrato e incosciente fratellino in grado di sedurre chiunque, anche lui), per raccontarne le gesta eroiche e dissolute.
La prima parte scorre così via allegramente inseguendo le azioni sconclusionate di un nucleo familiare che tanto familiare non è, tra urla, botte e fughe, dove il figlio reietto è quello bello, bravo, brillante a scuola e di gran cuore, mentre il preferito è Bing, simpatico, strafottente e libero come l’aria. Ma un colpo di scena distrugge improvvisamente e senza via di scampo il divertimento sfrenato degli inizi: oramai adolescenti, Collie e Bing vanno un giorno in gita con gli amici e il più giovane, trovandosi in difficoltà durante una bravata, muore sotto gli occhi atterriti del fratello che avrebbe potuto aiutarlo ma assiste invece impotente alla sua scomparsa: creatura unica, meravigliosa nel suo essere irrimediabilmente volatile e fantasmatica.
È l’inizio del calvario personale di Collie che coincide purtroppo con la parte meno riuscita del romanzo, perché qui affiora una retorica che in precedenza era stata sapientemente aggirata da uno stile asciutto e abilmente divertito. Dopo la tragedia, il giovane passerà lunghi anni alla ricerca di un risarcimento morale da sottoporre al severo giudizio dei familiari, e di se stesso, per placare il senso di fallimento derivato dalla propria incapacità di salvare la vita del fratello tanto amato. Soltanto nell’epilogo si ricomporrà faticosamente un ordine, sia pure doloroso, mentre anche la scrittura riprende respiro e riesce a modularsi efficacemente sui tratti di una vicenda in definitiva amara ma ricchissima di vitalità.
[da il manifesto, 7 novembre 2010]
tysm, n. 1, dicembre 2010
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