philosophy and social criticism

Addio ripresa?

di Christian Marazzi

E dire che lo scorso anno (2017) sembrava proprio che la crisi fosse ormai alle spalle, che finalmente si potesse riprendere a credere in una crescita magari lenta ma duratura e un po’ meno squilibrata sotto il profilo della distribuzione dei redditi, con tassi di occupazione e salari in crescita. E invece eccoci giunti alla fine di questo 2018 con la prospettiva di una recessione o, più discretamente, di un “rallentamento della crescita” (slowdown growth) in Europa, Giappone, Asia e, ahimé, anche in Cina. Unica eccezione gli Stati Uniti, che a detta degli analisti dovrebbero crescere ancora per un po’ (si parla fino al 2020) sull’onda degli stimoli fiscali voluti da Trump.

Perché la ripresa economica è durata lo spirare d’un giorno? Questa dannata crisi è dunque destinata a durare per sempre?  La crisi durerà fino a quando le disuguaglianze rimarranno quello che sono, cioè decisamente eccessive, tali da deprimere la crescita economica perché, con  la concentrazione della ricchezza in poche mani, non si fa altro che deprimere la domanda, il consumo di beni e servizi. Se gli investimenti non sono ripartiti come si prospettava è proprio perché le aspettative relative alla domanda sono rimaste ferme al palo. Sì, certo, l’occupazione è crescita, anche di molto, ma è una cattiva occupazione, fatta di lavori precari e a bassa remunerazione.

Inoltre, questa crisi durerà fino a quando le banche centrali, a cominciare dalla Riserva federale statunitense, non cambieranno le loro politiche monetarie e i modelli che le sottendono. Le politiche monetarie ultra espansive di questi anni di crisi, con gli acquisti eccezionali di Buoni del Tesoro e con tassi d’interesse nulli o negativi, più che altro hanno contribuito ad inflazionare i mercati borsistici, aggravando in tal modo le disuguaglianze e i suoi effetti politici, cioè il populismo. Sì, certo, queste politiche monetarie hanno permesso di evitare la depressione economica, ma solo grazie ad un aumento considerevole dei debiti pubblici e privati (questo mix si chiama “stagnazione secolare”). Ora che le banche centrali hanno deciso di perseguire politiche monetarie restrittive perché i loro brillanti modelli econometrici prevedono aumenti d’inflazione, quando invece l’inflazione non rappresenta in alcun modo un pericolo, ecco che tutto riprende a traballare, a cominciare dai paesi emergenti fortemente indebitati. Con l’aggravante che ora le banche centrali non hanno più le munizione necessarie per far fronte ad una nuova crisi.

Speriamo, sì speriamo che la recessione non esploda, perché se così fosse ci troveremmo a perdere quel poco che siamo riusciti a mantenere in questi anni, ma in un clima di deglobalizzazione e di sovranismo che, per definizione, non prevede la cooperazione fra nazioni, ma solo il mors tua vita mea.

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