philosophy and social criticism

Le guerre di Elias Canetti

di Francesco Paolella

Nota su: Elias Canetti, Aforismi per Marie-Louise, traduzione di Ada Vigliani, Adelphi, Milano 2015.

«Combattono fra le dita dei piedi, nell’ombelico, dentro le narici, combattono nel didietro, sotto le ascelle, dentro le orecchie e in bocca, non c’è luogo nascosto, non c’è palmo, non c’è poro, nelle cui profondità non combattano l’uno contro l’altro all’ultimo sangue».

Prendendo in mano questa nuova raccolta di «appunti» di Elias Canetti, è inevitabile ritornare continuamente a due dei suoi capolavori, Massa e potere e La provincia dell’uomo. In questi Aforismi a Marie-Louise ritroviamo le tracce, i segni di quella potente visione canettiana – sulla vita e sulla morte, sulle metamorfosi dell’uomo, sull’orrore della guerra – che ha reso la sua scrittura una miniera inesorabile, in una fusione incandescente di filosofia e letteratura.

Questa raccolta è la pubblicazione – avvenuta per la prima volta una decina di anni fa – di un manoscritto, che Canetti regalò nell’ottobre del 1942 a Marie-Louise von Motesiczky, per il compleanno di lei che sarebbe divenuta e rimasta per decenni la sua amica-amante. Come ci ricorda Jeremy Adler nella sua indispensabile postfazione, si trattava di un regalo, in un contesto drammatico come quello inglese del ’42, che significava molte cose in quella relazione così intensa e complicata. Erano due “artisti” (la von Motesizky era una pittrice) pur molto diversi per estrazione e condizione economica, che appartenevano entrambi a una cultura – quella ebraica dell’Europa centrale, e austriaca in particolare – che sarebbe stato un ponte fra di loro. «Persino nell’Inghilterra del periodo bellico, essi coltivarono lo spirito del Modernismo viennese, e condivisero un ethos radicato in quella cerchia culturale di cui sono particolare espressione Adolf Loos e Karl Kraus. Li accomunava anche uno spirito indipendente, pronto a interrogarsi su tutto, che non si lasciava intimidire da nessun tabù, da nessuna religione» (pp. 59-60).

Marie-Louise non riuscì (non volle) entrare completamente nel mondo canettiano – un disinteresse che avrebbe colpito Canetti nel vivo, come avrebbe scritto tempo dopo la pubblicazione dell’opera, in una lettera del 1961: «E’ già abbastanza triste che tu, a un anno e mezzo dalla pubblicazione dell’opera a cui ho dedicato la vita, non abbia trovato il tempo di darle almeno un’occhiata per sapere cosa contiene. Ti sarebbe certo costato un po’ di fatica, ma in ogni caso molto meno di quella che richiede agli altri perché, di ciò che è importante in questo libro, sono anni, sono decenni che mi senti parlare» (p. 70).

Una relazione lunghissima (che avrebbe resistito fino alla morte dello scrittore, nel 1994), ma non facile. Come dicevamo all’inizio, Canetti si era consacrato a quell’epoca alla stesura di Massa e potere: aveva però deciso di scrivere aforismi, anzi «appunti», per ritagliarsi degli spazi di immediatezza, delle “valvole di sfogo”, da quella impresa totale. Queste scritture brevi hanno rappresentato per Canetti anche un vero “genere letterario”, e una maniera per rompere con i “sistemi di pensiero”, per tenersi alla larga da ogni sistematizzazione. Canetti cercava, attraverso una scrittura libera, di raccogliere tutte le forze disponibili nella sua lotta contro i nemici di sempre: la morte, la guerra.

E in questi appunti sentiamo, sia pure in toni differenti, tutta l’urgenza di una protesta contro la violenza disperante in cui era finita l’Europa (e l’ebraismo europeo). Ogni spazio, ogni corpo è ridotto a campo di battaglia e di tortura: «Combattono fra le dita dei piedi, nell’ombelico, dentro le narici, combattono nel didietro, sotto le ascelle, dentro le orecchie e in bocca, non c’è luogo nascosto, non c’è palmo, non c’è poro, nelle cui profondità non combattono l’uno contro l’altro all’ultimo sangue» (p. 11).

Corpi amputati, vilipesi; la morte anonima che si impone. La guerra è ovunque: «La birra non ha più, per lui, il buon gusto di una volta: dal boccale sbircia la guerra» (p. 14).

Cosa si può fare davanti all’orrore montante? «“Salvare” era la parola che scatenava le emozioni più forti nel suo cuore. C’erano, da salvare, oceani di creature e di legami, e lui non andò mai oltre l’impeto del cuore» (p. 18).

Non c’è liberazione possibile: «Chiunque riderà a guerra finita, sia messo a morte per averla dimenticata con tanta leggerezza» (p. 30).

[cite]

 

tysm literary review

vol. 18, issue no. 21

february 2015

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