Il ritmo di Busi
Per Aldo Busi la letteratura è ritmo, è molto difficile riuscire a romperlo o anche solo a sospenderlo. Questo libro è la somma, anzi la moltiplicazione, di tanti libri possibili.
Per Aldo Busi la letteratura è ritmo, è molto difficile riuscire a romperlo o anche solo a sospenderlo. Questo libro è la somma, anzi la moltiplicazione, di tanti libri possibili.
“…Oggi occorre sapere che un teologo, un prete, un papa, non appena aprono bocca a pronunciare una frase, non solo sbagliano ma mentono… Le nozioni di aldilà, quella stessa di anima, sono arnesi di tortura, sistemi di crudeltà, usando i quali il prete diventò padrone e padrone rimase”
«Combattono fra le dita dei piedi, nell’ombelico, dentro le narici, combattono nel didietro, sotto le ascelle, dentro le orecchie e in bocca, non c’è luogo nascosto, non c’è palmo, non c’è poro, nelle cui profondità non combattano l’uno contro l’altro all’ultimo sangue».
Il nostro essere onnivori è entrato in crisi. Le varie ortoressie regole più o meno ferree da seguire per riuscire a mangiare nel modo corretto), il vegetarianismo nelle sue diverse declinazioni – pensiamo al crudismo – possono diventare davvero regole monastiche e anacoretiche, che finiscono per isolare chi le pratica.
Spezzare il linguaggio per toccare la vita, scrive Antonin Artaud: «écraser le langage pour toucher la vie». Si tratta di un percorso che porta l’écrivain insurgé, lo scrittore insorto, a problematizzare l’autoevidenza del legame tra significante e significato.
Forse a qualcuno il libro di Francesco Piccolo sembrerà una sorta di legittimazione della vecchia, vecchissima tradizione nazionale dei «voltagabbana», sempre pronti a capire in quale direzione tira il vento e ad aggiustare il tiro, assecondando i potenti di turno. Ma in verità si tratta di qualcosa di più. È il punto terminale (e coerente) di un nichilismo integrale.
«Noi lavoriamo nelle tenebre, facciamo quel che possiamo, diamo ciò che abbiamo. Il nostro dubbio è la nostra passione e la nostra passione è il nostro compito. Il resto è la follia dell’arte». A queste parole, riprese da Henry James, Maurice Blanchot affidava il compito – ambizioso, ma chiaramente improbabile – di lambire, senza tentare per questo di definirla, la “strana esigenza di scrivere”.