Marco Nicastro In questo articolo vorrei proporre alcune riflessioni a partire dai contenuti dell’intervento, liberamente visualizzabile sul canale Youtube, dal titolo “Politica, verità, testimonianza, rappresentanza”[1], tenuto…
Ci sono dei versi in friulano della Nuova Gioventù, in parte in friulano in parte in italiano, in cui si dice: «io piango un mondo morto» – questo verso rientra nello standard interpretativo pasoliniano – «ma non sono morto io che lo piango». E meglio, ancora: «non piango perché quel mondo non torna più, / ma piango perché il suo tornare è finito». Piangere etimologicamente vuol dire “essere percosso”, essere ferito, non tanto perché il mondo è morto o perché io sia morto, ma perché questa ferita, ora e qui, è una ferita totale, che non permette la “contraddizione dialettica”; tanto è vero che Pasolini diceva: «via Hegel, tesi, antitesi, sintesi, opposizioni pure»
Che cos’è l’Europa? L’Europa, scriveva Emmanuel Lévinas, è «la Bibbia e i Greci». L’Europa è la sfida dell’unicità. Solo l’unico, osservava il filosofo ebreo franco-lituano, «è assolutamente altro». Senza unicità, non si instaura alcuna alterità, alcun rispetto
Un’intervista con Andrea Tagliapietra, filosofo e autore di «Esperienza», edito per Raffaello Cortina. «L’esperienza non è al nominativo, è sempre al dativo: “a me capita di fare esperienza”. Ciò accade anche nelle storie e nel narrare. Sia chi ascolta una storia, sia chi la racconta fa esperienza al dativo»
Les garçons et Guillaume, à table! di Guillaume Gallienne, Francia, 2013 «Il Reale, da parte sua, conosce solo distanze, il Simbolico maschere; solamente l’Immagine (l’Immaginario) è vicina,…
«Viviamo in un paese vinto e sottoposto a razionamento e in cui la mancanza di pane è diventata per me un’ossessione costante, e lei non immagine la sensazione penosa di vuoto che crea nel sistema nervoso, quando si passa il proprio tempo a pensare e a scrivere, il fatto di non avere un pezzo di pane in più da mettersi sotto i denti tra un pasto e l’altro» (Artaud)
Il sociologo Alain Accardo ripercorre la narrativa creata intorno al candidato “né di destra né di sinistra” diventato il nuovo presidente della Francia
Pubblicato il 2 settembre del 1977 sulle colonne di “Le Monde”, Violence et brutalité suscitò non poche polemiche. Furono in molti (su tutti il politologo Maurice Duverger) a leggere nelle parole di Genet una legittimazione senza se e senza ma del terrorismo della Rote Armee Fraktion (Raf). In realtà, il testo di Genet era soprattutto un attacco alla “sinistra divina” del Sessantotto, a quella “disinvolta e angelica” dei salotti, che alla violenza del gesto e, quindi, alla vita, preferiva la brutalità dell’ordine e delle galere
Ma oggi siamo entrati in una fase storica in cui il problema della proprietà e dei beni comuni acquista una nuova attualità, a causa di una duplice dinamica, sempre più dispiegata. Da una parte infatti, il capitalismo cerca sempre più di impossessarsi privatamente, a fini di profitto, di ambiti di realtà sinora inesplorate. Si pensi alle appropriazioni e brevettazione di piante e semi da parte delle aziende biotecnologiche negli ultimi anni
Nell’aprile del 1915, ferito da un cecchino bavarese, il ventenne Jean Renoir arruolatosi nell’esercito francese per combattere nel primo conflitto mondiale, trascorre la sua convalescenza nella casa parigina del padre Pierre-Auguste, il maestro impressionista ormai quasi ottantenne
«Io credo che noi colpevolmente continuiamo a trascurare un’arma politica ben nota che potrebbe avere un’efficacia non comune se utilizzata con sistematicità e su scala almeno europea. Mi riferisco al boicottaggio delle merci» (Piero Bevilacqua)