Chi si salva è perduto
di Gianni Scalia
Si inizia a dire «di ciò che ho perduto»; poi, andando avanti, per esempio con Montale, si dirà «di ciò che è perduto». Ho perduto perché in realtà si è perduto dall’origine. È ontologica la perdita, non psicologica e neanche morale. È il perduto o per meglio dire il mancante…
C’è anche Mallarmé, il “colpo di dadi”…
Quello però rappresenta la chance. Il gioco. È un gioco pericoloso, che può essere mortale. ( Comunque la frase di Mallarmé che riassume un po’ tutto per noi, che più che poeti siamo critici, cultori, amatori della poesia, è questa: «La poesia corregge i difetti della lingua». Il che vuol dire che io lavoro con delle parole, ci gioco, ma nel senso più ampio di jouer. Non solo il gioco che intendono le avanguardie o le neoavanguardie, ma il vero e proprio giocarsi (basti solo pensare a Ungaretti e al suo modo di jouer la sua poesia, di arrivare a coinvolgerla). Non si possono ingannare le parole. Al limite sono le parole che ingannano te.
E un’illusione proprio nel senso etimologico. In ludere: entrare nel gioco. I poeti sono dei giocatori che sono “giocati”: vinti dalle parole, ma che però ludent, sono appunto giocanti. Proprio in quanto “giocati” diventano “giocanti”.
Quindi si può dire che è più grande chi perde?
Guarda, tra tanti poeti chi è che resiste veramente? Solo chi si è “giocato” perderà la propria anima e quindi riuscirà. Solo chi perde la propria anima si salva, non chi vuole salvarsi l’anima. Chi vuole salvarsi l’anima è diventato proverbialmente un ingannatore. Solo se il gioco ti gioca tu riesci a giocare, altrimenti rimani “giocato”.
[da Valentino Fossati – Guido Monti, Accademico di nessuna accademia. Conversazioni con Gianni Scalia, Marietti 1820, Genova-Milano 2010, pp. 59-60].
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tysm literary review, Vol 2, No. 4 – april 2013
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