Delle api e delle locuste
Christian Marazzi
In questi giorni il settimanale The Economist ha pubblicato un’analisi molto dettagliata del processo di concentrazione, tramite Acquisizioni&Fusioni, delle grandi imprese mondiali, sia nei settori più tradizionali, come quello energetico o farmaceutico, sia in quello più recente dell’economia digitale (“The rise of the superstars”, settembre 17, 2016). Il quadro che ne esce è piuttosto impressionante, se solo si pensa che il 10% delle imprese mondiali quotate in borsa genera l’80% di tutti i profitti.
In sé i processi di concentrazione non sono nuovi, a suo tempo lo storico dell’economia americana Alfred Chandler descrisse la storia degli Stati Uniti dopo la guerra civile come “dieci anni di competizione e 90 anni di oligopolio”. La rivoluzione digitale sembra confermare questa tendenza, ma su scala globale. La concentrazione del capitale è tipica delle fasi di stagnazione dell’economia, come quella che ha fatto seguito alla crisi del 2008, perché è un modo di accrescere i profitti tramite economie di scala e soprattutto riduzione del personale.
Nel 1990 le tre compagnie automobilistiche americane occupavano 1,2 milioni di persone, nel 2014 le tre compagnie digitali della Silicon Valley, con una capitalizzazione tripla di quella delle vecchie star automobilistiche, occupavano soltanto 137 mila. La transizione dalla vecchia alla nuova economia digitale è destinata a stravolgere il mondo del lavoro, e la cosiddetta IV rivoluzione industriale, quella della robotizzazione e delle automobili senza conducente, deve ancora dispiegarsi del tutto. Già oggi Google controlla il 69% di tutti i motori di ricerca, Google e Apple assieme detengono i sistemi operativi del 90% di tutti gli smartphone.
È proprio la combinazione di digitalizzazione dell’economia e concentrazione del capitale che permette di descrivere il mondo che verrà come uno scontro tra api e locuste, per riprendere il titolo di un libro di Geoff Mulgan. I profitti delle grandi imprese digitali sono in gran parte legati alla spontanea produzione e condivisione dei contenuti degli utenti e alla cooperazione sociale che caratterizza i nuovi processi di produzione e circolazione della conoscenza. Questi profitti sono però appropriati da imprese capitalistiche estremamente tradizionali che si comportano secondo logiche predatorie.
Da una parte lo sciame delle api, cioè di tutti noi, che produce miele e impollina il mondo di saperi, conoscenze e scambi gratuiti, dall’altra le locuste che si appropriano del lavoro altrui, concentrando in modo parassitario ricchezze enormi senza investirle per creare lavoro e reddito.
Ci troviamo in un’economia che ha ormai istituzionalizzato comportamenti predatori basati sull’autointeresse, ma ci troviamo anche in una società in cui l’innovazione sociale è possibile in virtù delle stesse tecnologie della comunicazione che permeano le nostre forme di vita. C’è da chiedersi se il “fare insieme”, quell’insieme di attività in cui centrale è la relazione sociale, potrà avere la meglio sulla pura logica dell’interesse personale.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 32, issue no. 34, october 2016
issn: 2037-0857
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