I bambini di Asperger. La scoperta dell’autismo nella Vienna nazista
Francesco Paolella
La biografia di Hans Asperger, il cui nome è oggi essenzialmente legato alla sindrome omonima e, più in generale, a quello che oggi viene definito come “spettro autistico”, ci rimanda a un intrico di violenza e burocrazia, scienza e retorica, ideologia nazista e finto umanitarismo, da cui non possono che derivare problemi e aporie.
Il nome di Asperger, cattolico, uomo di destra, mai iscritto al partito nazista ma partecipe a pieno titolo del “sistema” nazista di selezione ed eliminazione di bambini e adolescenti asociali ed anormali, non è stato toccato dall’infamia, tanto che, negli ultimi decenni, è divenuto anzi assai popolare. Ad ogni modo, fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, questo psichiatra ha lavorato, aderendovi, in un contesto professionale tutto votato ad una ideologia discriminatoria e omicida: da responsabile del Reparto di pedagogia curativa alla Clinica pediatrica dell’università di Vienna, si è occupato direttamente di riconoscere e separare i piccoli “dissociali” che fossero comunque emendabili, dagli irrecuperabili, la cui fine avrebbe dovuto essere quella delle vittime dei programmi di eutanasia.
Asperger, arrivando a formulare la fumosa diagnosi di “psicopatia autistica”, ha seguito e, per la sua parte, sostenuto la psichiatria infantile nazista, radicalizzando il proprio sguardo di medico, in funzione della “difesa sociale” dagli elementi disturbatori e in nome del primato del sentimento comunitario, dell’appartenenza nazionale. Sono rimaste oggi a disposizione le cartelle cliniche di tanti bambini e ragazzi inviati da Asperger, dopo un periodo di osservazione, ai “trattamenti” (la solita, terribile LTI…) nei centri di eliminazione. Quelle vittime di una ideologia al contempo politica e scientifica, sono state vittime in primo luogo dei clichés predominanti nel giudizio di medici come Asperger: ovviamente le differenze di classe (e di genere) pesavano molto sul destino di bambini valutati, e spesso frettolosamente, come “cattivi”, “sadici” o precocemente sessualizzati. In sintesi, bambini troppo “difficili” per essere recuperati, che venivano soprattutto da famiglie povere e marginalizzate e spesso monogenitoriali; bambini privi di Gemüt, ossia della capacità di adattarsi alle esigenze del collettivo e di sapersi votare alla causa del Volk, della comunità nazionale.
Nella vita di scienziati come Asperger emerge chiaramente quanto il contesto ideologico dominante, con il conformismo pressoché assoluto dei “colleghi” e con il largo consenso nell’opinione pubblica verso le discriminazioni più violente, e fino alla eliminazione fisica, possa arrivare ad assorbire in sé ogni altra logica, anche quella scientifica. Nel dopoguerra Asperger – e ricordiamo che egli non ebbe alcuna conseguenza legale per il suo ruolo durante il regime nazista in Austria – ha cercato ovviamente di purificare la propria immagine, prendendo le distanze dalle posizioni più estreme avute in passato e cercando di accreditarsi egli stesso come oppositore del nazismo. Non si può dire che non abbia avuto successo in questa ripulitura del proprio curriculum, ma la sua rimane, comunque, la più classica figura del nazista-non-proprio-nazista, esponente di una zona grigia, così diffusa nel mondo scientifico, e che ancora dobbiamo conoscere in tutta la sua ampiezza.
Senza dubbio estremizzando il concetto, potremmo dire che Asperger abbia visto, in certi momenti “eroici” della sua carriera di psichiatra, nell’autismo (lo ripetiamo: diagnosticato in modo frettoloso e poco chiaro) un nemico del fascismo (inteso principalmente come spirito di comunità). Nei bambini asociali non vedeva la sofferenza e il disagio, ma un irrecuperabile isolamento criminale e una grave minaccia sociale. Prima e dopo il 1945, Asperger ha usato spesso la retorica (e una retorica spudoratamente compassionevole, così come essa era alla base dei progetti eutanasici nazisti) per coprire il vero obiettivo dei suoi progetti “terapeutici”: rieducare i casi meno gravi ed abbandonare al loro destino gli altri, per curare, in questo modo, tutta la comunità. In tanti medici come Asperger il curare e l’uccidere non sono state pratiche antitetiche, ma hanno più o meno apertamente convissuto. Anche la “dolce morte” nazista è stata, 80 anni fa, un vero e proprio progetto sanitario.
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