Il mercato delle lettere
di Francesco Paolella
Ambrogio Borsani, La claque del libro. Storia della pubblicità editoriale da Gutenberg ai nostri giorni, Neri Pozza, Vicenza, 2019, 187 pagine
Forse sarà proprio la marginalità, sarà la scarsa redditività delle imprese editoriali a salvarle dalle strategie di manager votati al neuromarketing.Il rapporto fra i libri e la logica commerciale è sempre strato controverso e, senza accontentarsi di un inutile moralismo e senza rifugiarsi in qualche soffitta a fare i poeti sprezzanti, è impossibile negare che anche i libri sono dei prodotti che devono essere venduti (certo prodotti un po’ speciali, almeno per il modo in cui vengono creati…). Per esistere, gli editori devono ovviamente sottostare anche ai condizionamenti del mercato; la questione, tuttavia, è quella di saper mantenere – discorso che vale anche per gli autori e, in un certo senso, per i lettori-consumatori – un certo equilibrio fra libertà artistica, difesa della creatività e dei rischi che questa comporta da una parte, e le esigenze di budget e profitto dall’altra.
Attualmente l’editoria sembra proprio in crisi, anche a prescindere dai dati dei vari rapporti sulla quantità e la qualità dei lettori. Le lotte per la difesa del cartaceo contro il digitale o viceversa rasentano l’assurdo in questo contesto, vista appunto la rarefazione sempre più spinta di lettori, editori, librai.
D’altra parte, l’oggetto libro continua a conservare per la nostra cultura, per tutti noi, lettori e non, un’aura, una forza evocativa che lo rende ancora un prodotto diverso dagli altri. E questo avviene nonostante tutte le volgarizzazioni e le banalizzazioni a cui è stato sottoposto da quando impera la società dei consumi. Non ha ormai molto senso illudersi di poter resistere nella purezza degli ideali al dominio del mercato, anche quando si parla di libri e di idee. Può forse fare una impressione sfavorevole in alcuni o mettere un po’ a disagio il fatto di ricordarsi che un’autrice come Alda Merini abbia fatto con le sue poesie, alla fine del secolo scorso, pubblicità alla Motorola. Ma si tratterebbe di una delusione tutto sommato superficiale.
Il Novecento è stato il secolo della réclame e che ha visto esplodere le relazioni fra l’editoria e il mondo della pubblicità: autori affermati hanno “ceduto” per soldi la propria immagine e le proprie ambite parole a marchi più o meno prestigiosi. Industrie importanti hanno spesso commissionato opere (come il romanzo che Massimo Bontempelli scrisse per il lancio di un nuovo modello FIAT) a scrittori dietro compenso. Sono noti e discussi i casi di romanzieri che inseriscono veri e propri spot (vedi Murakami Haruki) nei propri libri. E ogni tanto si riaffaccia la proposta di inserire vere e proprie interruzioni pubblicitarie nei libri, così da abbassarne – almeno si promette – un po’ il costo. Ma non si tratta di novità. Questo libro di Ambrogio Borsani ci mostra, e in modo molto coinvolgente, quanto siano profondi e antichi i rapporti fra libro e pubblicità, e lo fa senza concedersi la solita “puzza sotto il naso” (il mercato che lorda l’intellettuale…), ma con la competenza di chi si occupa di comunicazione. Anzi, bisogna proprio ricordare che i libri e la pubblicità (con le locandine, i manifesti…) sono stati storicamente sempre molto vicini, e prima di tutto perché prodotti nello stesso modo, negli stessi luoghi, con gli stessi materiali. Dall’epoca di Gutenberg a quella di Diderot e poi lungo tutto l’Ottocento, l’editoria ha sempre avuto bisogno di farsi conoscere a potenziali lettori; li ha cercati promuovendo se stessa, tentando sottoscrizioni e diffondendo cataloghi promozionali. E tutto questo ben prima del consumismo novecentesco.
Negli ultimi tempi – ecco il vero problema – il marketing ha assunto sempre più potere nelle case editrici, spesso volendo addirittura dettare la linea e cercando di appiattire le pubblicazioni sui “gusti” del pubblico. Non ovunque funziona così ovviamente, ma un tendenza generale di tal genere è indubbia. Chi resiste – editori medio-piccoli o piccolissimi – si trova costretto a combattere in un mercato bloccato, asfittico e saturo. La pubblicità vera e propria poi, costa troppo per un libro. Infatti se ne fa molto poca. Piuttosto, si cerca di ottenere visibilità per i propri libri, si cerca publicity (ovvero l’esposizione mediatica senza pagare). Si chiedono recensioni e segnalazioni, tentando di creare eventi attorno all’uscita di un volume (e quanto gli editori devono rimpiangere i pretori di una volta, che facevano sequestrare libri e film scandalosi!). Il mestiere dell’editore, specie se decide di pubblicare un libro e non semplicemente di stamparlo, ha davvero qualcosa di eroico. Gli autori, per parte loro, devono essere assai combattuti fra la fedeltà all’arte disinteressata e il bisogno di riconoscimento (e, magari, di guadagno). Per questo, è facile immaginare quante recensioni entusiastiche sui social media siano in realtà autocelebrazioni, scritte di nascosto dagli stessi autori.
Infine, la parte più triste di questo libro divertente (e non per colpa di Borsani) è quella dedicata alle campagne ministeriali per la diffusione della lettura, che, di tanto in tanto, qualche solerte burocrate decide di fare. In Italia le pubblicità di quel genere sono di solito particolarmente ridicole, oltre che perfettamente inutili. Chi mai può illudersi di convincere un non-lettore a leggere con uno spot o con uno slogan? Sono proprio soldi buttati.
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