Storia della cultura di destra
di Francesco Paolella
Francesco Giubilei, Storia della cultura di destra. Dal dopoguerra al governo giallo-verde, Giubilei Regnani Editore, Roma-Cesena, 2018, 390 pagine
«Alla Destra non sono mancati i pensatori […]. Sono mancati tutt’al più i gallonati sergenti maggiori della cultura: giornalisti che inquadrano il consenso e organizzano il falso dissenso da un potere di cui sono essi stessi un ingranaggio, i diligenti ricercatori, che, nota su nota, costruiscono libri nati da altri libri, che non aggiungono nulla a quanto già si conosceva, ma, visto che hanno tutte le citazioni a posto fanno bibliografia, le professoresse di liceo che, con stoicismo di soldati giapponesi rimasti quarant’anni dopo la fine della guerra a presidiare un’isoletta sperduta, ripetono a generazioni di studenti la vulgata marxista, organizzano gli stessi cineforum, consigliano le stesse letture, spiegano il fascismo e la resistenza come se De Felice e Nolte non fossero mai nati» (citazione da pagina 21).
Per decenni, è stato naturale per molti considerare una certa cultura e una certa ideologia, discretamente diffuse in Italia, anche se mia egemoniche, come un pericolo per la libertà e, soprattutto, come una anomalia quasi antropologica. Parliamo della cultura (anzi: delle culture) di destra. Per un sentire “comune”, e specie nel mondo dell’educazione, nell’editoria e nell’accademia, la destra è stata sinonimo di un preoccupante miscuglio di ignoranza e di violenza. La cultura di sinistra, o meglio: la cultura tout court, ha percepito se stessa non tanto come maggioritaria, ma come custode e unica interprete legittima del senso della storia nazionale.
I pochi, per certi versi eroici, “intellettuali di destra” hanno dovuto per tanto tempo affrontare ostracismo, censure e isolamento. In campo culturale (dai giornali al cinema ai concorsi universitari) senza dubbio la sinistra (cioè il PCI e l’ultrasinistra)ha avuto un potere praticamente incontrollato, e in ciò è stata lasciata libera dall’altro, più grande potere, quello democristiano. Il conformismo dei compagni ha funzionato a pieno regime almeno fino agli anni Ottanta e riflessi ne possiamo vedere tuttora.
La destra non è stata frequentata soltanto da venduti o da gente in malafede, né da patetici nostalgici. Questo ricco volume di Francesco Giubilei ce lo ricorda una volta di più, compilando un puntiglioso (e orgoglioso, mi pare di poter dire) catalogo di tutti quei nomi (di storici, giornalisti, fumettisti ecc.) che hanno contribuito ad animare il campo degli esclusi, degli “esuli in patria”. Non che l’ostracismo degli compagni sia l’unica causa di questa ostinata marginalizzazione: insomma, non ci si può limitare a spiegare tutto con il vittimismo dei respinti. Anche le classi dirigenti del MSI e degli altri gruppi della destra hanno tradizionalmente dato poca o nulla importanza alla questione culturale. A destra, poi, e molto più che a sinistra, personalismi e posizioni più o meno apertamente anarchiche ed eretiche, hanno impedito che si strutturassero reti (istituzionali e non) capaci di contrapporsi alle grandi organizzazioni culturali rosse.
Di per sé, destra significa moltissime cose, spesso in contraddizione fra di loro: il tradizionalismo cattolico e la rivoluzione conservatrice, il comunitarismo e le aperture al liberalismo…
Oggi comunque rimane poco di tutto ciò, forse solo dei surrogati ideologici buoni per tutti all’occasione; in sostanza, rimane soltanto lo stigma del “fascismo”, il quale rappresenta una colpa ormai metafisica, che non si dovrebbe né emendare né dimenticare.
Il complesso di inferiorità della destra italiana nasce evidentemente dai rapporti turbolenti con il passato fascista e con la violenza politica durante i successivi decenni repubblicani – violenza sulla quale avrei insistito un po’ di più, a mettermi nei panni dell’autore, anche solo per non prestare il fianco ad accuse di reticenza.
La destra ha un patrimonio di scrittori, editori e pensatori che è un patrimonio della cultura italiana: senza risalire a D’Annunzio, Piovene e Montanelli, Berto e Guareschi, De Felice e Pansa… tutti hanno vissuto affrontando i rischi del loro non allineamento, e specie in anni difficili, anni in cui le BR erano “sedicenti” e Feltrinelli era stato assassinato. Non ci possono essere, nel 2019, intellettuali e scrittori impresentabili e censurabili: anche Evola e Pitigrilli, per fare due nomi scomodi e difficili da maneggiare, possono e devono essere studiati.
La destra è stata costretta dal conformismo a una clandestinità, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Relegata nelle “fogne”, non ha partecipato, anche per i propri difetti, da protagonista alla storia nazionale: alla fine è stata spinta a una repentina e superficiale normalizzazione, senza aver potuto davvero fare i conti col proprio passato, e con le colpe degli altri, dei “giusti”, degli antifascisti.