philosophy and social criticism

Letteratura e psicoanalisi

Francesco Paolella

L’incontro tra letteratura e psicoanalisi ha segnato la cultura del Novecento. Sono due esperienze per tanti versi simili, come la singolarità irriducibile delle storie, lo scavo nel passato, l’approccio indiziario e, anzitutto, la necessità inesausta di raccontare.

Alfano e Colangelo hanno voluto appunto presentare la natura e l’intensità di questo scambio: da un lato, l’importanza che la “poesia” ha avuto per la nascita e lo sviluppo della psicoanalisi, da Freud (ricordiamoci del suo Il poeta e la fantasia, del 1907) in avanti; dall’altro lato, il contributo che la ricerca psicoanalitica ha saputo dare alla critica letteraria (per l’Italia basta riferirsi a quanto prodotto da Francesco Orlando e Mario Lavagetto).

Freud, Jung, Otto Rank e avanti fino a Lacan e oltre: la psicoanalisi ha utilizzato largamente le pagine di racconti, romanzi e testi teatrali (Edipo ed Amleto è persino superfluo citarli, ma pensiamo anche al perturbante, spiegato da Freud anche con i racconti di Hoffmann). La “questione estetica” ha sempre interessato Freud, a cominciare dal tema della genesi dell’opera d’arte, con il ruolo, in essa, della “fantasticheria”. Di più, Freud ha riconosciuto un tratto comune essenziale fra esperienza psicoanalitica ed esperienza letteraria (ma artistica in senso lato) nella ricerca del misterioso, enigmatico elemento pulsionale da cui tutto muoverebbe.

Altra questione, che pure ha interessato Freud: perché un romanzo, perché una storia drammatica o tragica, sa coinvolgerci, sa attrarci? Perché il dolore di un eroe sa darci, come lettori, piacere? L’attività estetica deve rendere “digeribili” al pubblico, deve rendere accettabili socialmente i desideri, gli impulsi egoistici dell’autore; ma i fruitori possono trovare nella lettura un vero e proprio “soddisfacimento sostitutivo” dei loro desideri inconsci. Con i protagonisti delle storie narrate è possibile identificarsi senza rischiarne la sorte; è possibile viverne, al riparo, le sofferenze, in una vera identificazione estetica.

I motti di spirito, i sogni con la retorica delle loro “traduzioni” verbali e così via, insomma tutte le parole pronunciate e scritte, con i simboli, le rimozioni e le sublimazioni che permettono di cogliere, sono da sempre la materia su cui il sapere psicoanalitico è al lavoro. Come diceva decenni fa Foucault, letteratura e psicoanalisi giocano entrambe con i segni; d’altra parte, le grandi scritture del Novecento sono state tutte attraversate dal campo del desiderio ed entrambe queste discipline hanno saputo riconoscere un significato nella “follia”.

La critica letteraria, per parte sua, ha potuto sfruttare, come accennavamo più sopra, gli “occhiali” della psicoanalisi per scavare più a fondo nella comprensione della genesi dell’opera letteraria. Sono allo stesso tempo emersi ben presto  rischi di questo approccio: da una parte, quello di cadere nel puro formalismo; dall’altra parte, di limitare il proprio sguardo al solo dato biografico dell’autore.

Sono interessanti inoltre le notazioni, sparse in diversi punti del libro, sui grandi della psicoanalisi visti come critici letterari. Ad esempio, l’approccio di Jung alla letteratura, basato sull’idea dell’esistenza di materiali inconsci collettivi nelle opere artistiche, a cominciare dai grandi miti, lo ha portato inevitabilmente a svalutare la specificità del valore estetico delle singole opere. L’artista per Jung è stato anche un ponte fra passato e presente, fra conscio e inconscio; l’opera d’arte ha origine anche appunto nell’inconscio collettivo, in un fondo latente più profondo, astorico, universale.

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