philosophy and social criticism

La trappola degli “intellettuali”

 di Pierre Dardot et CHRISTIAN LAVAL

Al tempo in cui la politica subisce un discredito di massa, i media dominanti orchestrano la pessima musica che ha per tema ossessivo la perdita d’identità, il declino della cultura, il «suicidio» della nazione. Gli Zemmour, Onfray, Sapir o Finkielkraut non generano tutto questo vocio per effetto della potenza del loro solo pensiero. Come la banda dei «nouveaux philosophes» non era a suo tempo composta da intellettuali seri, cioè da produttori di pensiero forte e di conoscenza originale, i componenti della banda dei vecchi pamphlettisti amareggiati – che ci propina la propria visione malinconica, le proprie passioni tristi e il proprio risentimento malato – non sono « intellettuali » se non per la grazia ricevuta dal «marketing letterario o filosofico».

L’efficacia della loro impresa si deve alla presunta trasgressione dell’ «ipocrisia benpensante» di cui questi falsi ribelli si pregiano e che i giornalisti amplificano in tante trasmissioni e riviste.

Secondo i diretti interessati, gli «intellettuali» prenderebbero coraggiosamente le difese del « popolo » disprezzato dalle élites politiche.

Si comprende così fino a che punto la figura classica dell’intellettuale subisca una trasformazione inedita : non siamo più di fronte allo scrittore che insorge in nome dei diritti della coscienza umana, né all’intellettuale «universale» di cui Sartre fu l’ultimo rappresentante , meno ancora all’intellettuale «specifico» caro a Foucault, ma a una pura postura mediatica tanto più aggressiva quanto gelosa delle proprie prerogative.  

Al tempo spesso piromani e pompieri, i media accelerano il deterioramento causato dai discorsi dell’ultra-destra[1], contribuiscono così a rendere l’aria sempre più irrespirabile, stimolano per esempio le piccole frasi abiette sulla «razza bianca», per meglio scandalizzarsene e punzecchiare il «populismo».

Scandalo che di per sé permette la legittimazione della bella modernità, piena di «opportunità» e di «libertà» delle quali i giornalisti «etici» sarebbero naturalmente i soli difensori. Questo perfetto montaggio giornalistico mira a far credere che gli « intellettuali » francesi siano diventati tutti, o quasi tutti, consumati reazionari.

La grande trappola, in cui alcuni cadono, consiste nell’avallare questa messa in scena chiamando a un «réengagement» degli intellettuali di sinistra, a un « reinvestimento » dello spazio pubblico, abusivamente confuso con lo spazio mediatico.

Prima di tutto bisogna smontare questa falsa opposizione tra vecchi reazionari e promotori della «modernità» neoliberale : la concorrenza delle identità, lungi dal contrastarla, contribuisce al rafforzamento della logica neoliberale. Ma non basta essere critici.

Viviamo la perdita del futuro, la confisca della storia, la privazione della speranza. Tocca a noi produrre concetti e principi di cui gli attori politici e sociali possano fare uso nelle loro pratiche effettive. Si tratta di far emergere, dalle lotte e dalle iniziative collettive, un nuovo paradigma politico capace di riaprire il futuro. Un compito simile richiede un lavoro teorico senza concessioni, non chiacchere e posture, inchieste e indagini serie, non slogan o banalità.

Diciamolo senza giri di parole : bisogna rinunciare una volta per tutte al magistero dell’ « intellettuale ». É una figura superata che nessun marketing potrà resuscitare. Per sfuggire al narcisismo delle piccole differenze, ossia alla postura del genio solitario, gli intellettuali critici devono diventare, con gli attori politici e sociali, i co-produttori della democrazia a venire.  

Traduzione di Alessandro Simoncini dal sito http://questionmarx.typepad.fr/question-marx/2015/10/le-pi%C3%A8ge-des-intellectuels-.html

[1] pourrissement ultradroitier nel testo francese (ndt)

[cite]

 

tysm review
philosophy and social criticism
vol. 28, issue no. 28 september 2015
issn: 2037-0857
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