Pensiero critico: antidoti differenziati al culto del tempo presente
Alessandro Arienzo
In un suo scritto su Illuminismo e critica (Donzelli) Michel Foucault descrive la seconda come «una certa maniera di pensare, di dire e anche di agire, un tipo di rapporto con l’esistente, con ciò che si sa, con ciò che si fa, un rapporto con la società, con la cultura, con gli altri». La critica è l’«arte di non essere eccessivamente governati».
Il volume curato da Alessandro Simoncini, Del pensiero critico. Filosofia e concetti per il tempo presente (Mimesis, Milano 2015) raccoglie i contributi di sedici intellettuali che pur interrogandosi su temi differenti partono tutti dall’urgenza di comprendere criticamente il presente. Del resto, se Marx ha descritto la «miseria della filosofia», Gilles Deleuze e Felix Guattari ci hanno mostrato come la filosofia (ed eminentemente quella critica) sia costruzione, invenzione e produzione di concetti «tra amici». A scorrere le pagine di questa raccolta si coglie come la filosofia critica contemporanea esprima una straordinaria ricchezza di analisi. Nella sua introduzione Simoncini si sofferma soprattutto sulle differenze che segnano i tanti rivoli del pensiero critico novecentesco — prevalentemente ma non esclusivamente marxista — e di quel complesso plurale di riflessioni che, magari proprio a partire da Marx, hanno posto in questione la più tradizionale critica politica socialista e comunista.
Il volume ha come punto di partenza comune a tutti i contributi quel dominio del capitale che «conserva ed espande la propria capacità egemonica confermando — e per molti versi approfondendo — le contraddizioni relative al dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, oltre che le persistenti gerarchie di classe, di genere, di «razza»». Tuttavia, se il capitale si è dato — e ancora si dà — come un «rapporto sociale tra persone mediato da cose» che ha per fine la propria auto-valorizzazione, le metamorfosi nei processi produttivi e della valorizzazione capitalistica impongono un nuovo sforzo intellettuale di comprensione dell’oggi senza il quale nessuna prospettiva politica può emergere.
Il nodo del legame sociale
La prima parte del testo si muove, quindi, «nel campo del capitale», la seconda invece riflette sulla politica come« mutamento».
Il contributo di apertura è di Michael Löwy dedicato ad un lungo frammento di Walter Benjamin sul capitalismo come «culto», come nuova religione che emerge dalle ceneri del cristianesimo. Quello del capitalismo come religione non rinvia solo alla questione delle origini del primo, ma anche al tema del capitalismo come forma specifica di legame sociale. L’importanza di Benjamin nel contesto della riflessione filosofico-politica odierna, come filosofia critica, è discussa anche da Massimiliano Tomba. Il testo di Pierre Macherey, come quello di Mario Pezzella nella seconda parte del volume, si soffermano invece sulla figura di Guy Debord e sulla sua analisi della merce/spettacolo. In particolare il bel lavoro di Pezzella riattualizza la categoria di spettacolare integrato per tentare di cogliere le specificità dell’autoritarismo contemporaneo e le sue fascinazioni.
In una raccolta di contributi che deve fare i conti con Marx e le tradizioni marxiste i lavori di Anselm Jappe e di Matteo Pasquinelli affrontano la questione del valore nell’analisi del sistema di produzione capitalistico. Jappe discute criticamente le tesi di Sohn-Rethel sul denaro e sulla sua natura; il lavoro di Pasquinelli — invece — colloca nella rilettura dei temi marxiani del valore e del lavoro la necessità della conricerca come intreccio tra teoria e prassi di lotta.
I contributi di Salvatore Cingari dedicato a Gramsci, di Michele Filippini e di Federico Tomasello al «metodo operaista», quello di Damiano Palano su Sergio Bologna, restituiscono quindi uno spaccato interessante della ricca varietà del pensiero critico marxista italiano che nelle sue molte varianti rivela la sua attualità.
La gran parte dei contributi del volume sono comunque accomunati da un più o meno esplicito esercizio di «critica dell’economia politica», sia come disvelamento della realtà produttiva e della circolazione capitalistica, sia come critica delle economie simboliche, del desiderio e spettacolari che le accompagnano. Nei saggi sono inevitabilmente riproposte e interpretate le tesi di autori come Foucault, Deleuze e Guattari nonché di Debord e dei situazionisti. In particolare, i contributi di Couze Venn e di Jason Read si soffermano sul senso, e l’attualità, della categoria foucaultiana di neo-liberalismo. In particolare, Venn argomenta la necessità di integrare la lettura del passaggio dal liberalismo classico al neoliberalismo con l’analisi dei processi storici del colonialismo e dei processi di accumulazione di ricchezze che hanno operato come banco di fondazione e di sperimentazione delle biopolitiche liberali.
Jason Read, invece, pone la propria attenzione sulla lettura foucaultiana dell’homo oeconomicus per mostrare la necessità di far riferimento al tema marxiano della sussunzione reale se si vuole cogliere come l’attuale sistema di produzione capitalistico sia innanzitutto un sistema di produzione di soggettività. Il contributo di Franco Berardi Bifo pone invece in questione in maniera estremamente diretta ed efficace l’attualità dell’impegno teorico di Deleuze e di Guattari richiamandoci alla necessità di pensare la sofferenza dei singoli (la bomba psichica) ma anche di «abbandonare l’esaltazione e la potenza liberatrice del desiderio e della sua espressione schizoide». Etienne Balibar si concentra invece sulle aporie del concetto marxiano di «politica», inteso come «fine della politica», che è inscritta in una lotta di classe che estingue se stessa proprio nel suo realizzarsi.
La guerra civile mondiale
Balibar discute innanzitutto dell’equivalenza tra «lotta di classe» e «guerra civile» posta nel Manifesto, e sulle tesi diverse che appaiono nel Capitale, per argomentare che la lotta di classe sorge sempre e immancabilmente, ma «in forme impreviste e inattese». Il confronto politico che soggiace questo itinerario teorico è quello con le tesi di Toni Negri e Michael Hardt sull’antitesi tra una «guerra civile mondiale» e le persistenti e moltitudinarie resistenze che attraversano la società capitalistica. Lungo questa scia di analisi Sibertin-Blanc, attraverso Deleuze, si interroga sulle forme odierne dei processi di proletarizzazione – come processi di costruzione di minoranze – e la possibile politica a venire. Un volume ricchissimo di spunti e contributi, quindi. Che ha il pregio di restituirci il senso, e la necessità, della filosofia politica come «critica» perché se la filosofia è produzione la critica è esercizio di libertà.