Vizi monetari
Uno fra i tanti fattori d’incertezza che accompagnerà l’evoluzione delle principali economie (Svizzera compresa) nel corso di questo nuovo anno è costituito dalle politiche monetarie delle Banche centrali // di Christian Marazzi
Uno fra i tanti fattori d’incertezza che accompagnerà l’evoluzione delle principali economie (Svizzera compresa) nel corso di questo nuovo anno è costituito dalle politiche monetarie delle Banche centrali // di Christian Marazzi
Nella diffusa volontà di potere sovranista o isolazionista, in particolare dell’America trumpiana, qualcosa va in direzione esattamente opposta. Si tratta del dollaro, la moneta americana che in questi anni di crisi ha addirittura accresciuto il suo dominio all’interno del sistema finanziario globale
Di sicuro, in economia non sempre il semplice è il sigillo del vero. Lo dimostra la discussione in corso attorno al futuro del costo del denaro, cioè dei tassi di interesse, negli Stati Uniti come nel resto del mondo
Si fa presto a confondere attrattività fiscale e creazione di crescita economica, o a credere che l’una determini l’altra. Il fatto è che negli Stati Uniti, come in tutti i paesi economicamente avanzati, la lentezza della crescita e l’assenza di investimenti significativi per la creazione di occupazione è la conseguenza di una bassa domanda di consumo, ovvero di livelli di reddito troppo bassi. Il denaro c’è, ma i posti di lavoro non ci sono (o sono pessimi) perché questo stesso denaro finisce nelle tasche degli azionisti
Il programma del neoeletto presidente americano, Donald Trump, tutto volto a rafforzare l’economia interna isolando gli Stati Uniti dal resto del mondo, rafforza non poco gli argomenti sovranisti della destra populista europea. La qual cosa è in un certo senso paradossale se solo si pensa alla contraddizione tra l’auspicata sovranità economica nazionale e il dollaro, un moneta che è sì nazionale ma che funge contemporaneamente da moneta di riserva internazionale, una moneta cioè che è utilizzata per pagare le importazioni negli Stati Uniti, per finanziare gli investimenti diretti e indiretti all’estero, per erogare prestiti a imprese e paesi emergenti
L’Economist parla di un ritorno – possibile – dell’inflazione Anche in questo caso si tratterebbe di qualcosa di straordinario, se solo si pensa che da anni ormai, cioè dall’inizio della crisi nel 2008, viviamo in una “stagnazione secolare”, una situazione cioè in cui l’assenza di crescita, accompagnata dall’aumento delle disuguaglianze, sono all’origine di quel fenomeno inquietante che è la deflazione, ossia la crescita negativa dei prezzi di beni e servizi
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