Un etnologo nel bistrot
Francesco Paolella Marc Augé, Un etnologo al Bistrot, Cortina, Milano 2015 Il bistrot è un genere di locale di cui non è facile trovare equivalenti fuori…
Francesco Paolella Marc Augé, Un etnologo al Bistrot, Cortina, Milano 2015 Il bistrot è un genere di locale di cui non è facile trovare equivalenti fuori…
Crisi senza fine. Lo dicono gli indicatori. Ma se si tenesse conto della cooperazione sociale, e non solo della prestazione individuale, il calcolo della produttività permetterebbe di remunerare in modo assai più appropriato il contributo di tutti alla creazione della ricchezza.
«Morte ai vecchi», il libro scritto a quatto mani con Massimiliano Geraci, non può essere considerato forse il «primo romanzo» di Franco Berardi Bifo. Ma senza dubbio questa singolare distopia, che immagina un futuro non poi così lontano dal nostro presente, condensa molte delle riflessioni dedicate da Bifo alla «mutazione» contemporanea. E proprio per questo il vero protagonista del romanzo diventa uno sciame omicida di ragazzini, perennemente intrappolati in un onnipresente alveare digitale.
Il mondo di oggi, tutto insieme pre-moderno, moderno e post-moderno, cerca inutilmente di emanciparsi dal sacro, dal religioso; dal bisogno, in particolare, di attribuire un potenziale, una dose più o meno forte di energia ad oggetti (amuleti, reliquie, talismani) che sarebbero capaci di garantire salute, successo, visibilità o, semplicemente, un contatto con ciò che sta in alto (il divino, il genio, l’eroico).
La minaccia alla virilità non viene genericamente da un femminile riconosciuto diverso dal punto di vista biologico e come tale carico di enigmi, e forse non è neppure la conseguenza inevitabile dei segni che lascia l’appartenenza intima all’altro sesso nella fase prenatale. Il gesto monotono e ripetitivo della “cura”, in cui si vanno a sovrapporre in modo inquietante il gioco della bambina con la bambola, il lavoro dell’infermiera e della bambinaia, è quello che la storia ha ritenuto fin dai primordi connaturato al femminile, così come “naturale” è sembrata la rinuncia della donna a porsi come individualità.
Oggi le cooperative sono ormai “normalizzate”, e cioè depoliticizzate: sono superati i rischi di un legame troppo stretto con ideologie e movimenti politici. Se, appunto, l’identità si è via via smarrita, o quanto meno trasformata, è stato possibile superare le divisioni partitiche fra cooperative di diverso colore: oggi l’unione delle diverse cooperative – che solo in Italia contano 12 milioni di soci e 1,2 milioni di addetti – ha portato quel mondo a essere un interlocutore economico al pari e al fianco degli altri, da Confindustria a Confcommercio.
In Occidente la merce diviene spettacolo e lo spettacolo merce. Il corpo si esibisce e si fa spettacolo esso stesso. E allora i luoghi della merce diventano quelli da colpire: supermercati, teatri, resort turistici, metropolitane, stazioni ferroviarie; l’accusa di apostasia si estende a tutti i frequentatori dei siti impuri. Una apostasia ipostatica dunque; mentre nello spazio del Califfato i luoghi sono rovesciati: il vero credente frequenta la casa nella sua intimità inviolabile e la moschea, le donne sono sempre velate per non essere violate, l’esibizione si limita alle armi e alla ferocia assassina.
Scriveva Friedrich Creuzer: “Una tradizione antichissima, considerata sacra anche in Grecia, consisteva nello spezzare una tavoletta e nel conservare le due unità separate come pegno e segno di un diritto di ospitalità concluso. Quel frammento della tavola spezzata (tessera) veniva chiamato proprio simbolo (symbolon)”.
Al di là degli enormi problemi etici che solleva, il «biolavoro» diventa infatti quasi il paradigma di un quadro generale, nel quale ogni individuo diventa solo il titolare di uno specifico ‘capitale umano’. Un ‘capitale’ che ciascuno è chiamato a preservare, coltivare e accrescere. Un ‘capitale’ che ciascuno può vendere ‘liberamente’ tuffandosi in una immensa distesa di merci. Un ‘capitale’ che ognuno può utilizzare ‘liberamente’ – spremendo dalla propria mente e dal proprio corpo ogni ipotetica possibilità commerciale – per le transazioni più vantaggiose e per ottenere le risorse necessarie per soddisfare i propri desideri. In altre parole, il «biolavoro» è solo la più drammatica testimonianza della logica che si nasconde dietro la retorica del ‘capitale umano’.
1943. Fronte russo occidentale, regione di Smolensk: Lev A. Zaseckij, giovane tenente dell’Armata Rossa, viene ferito da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria. Sottoposto a un intenso processo di riabilitazione, Zaseckij recupera frammenti delle funzioni cerebrali perdute e torna, dolorosamente, a vivere: riaffiorano nomi di persone e oggetti, impara di nuovo a contare, riconosce la via di casa…
Professor Saskia Sassen: the Robert S. Lynd Professor of Sociology and Co-Chair of The Committee on Global Thought at Columbia University. “Existing policy is not prepared to address new types of conditions producing massive displacements,” she said, “and neither is it prepared to deal with the consequences of such displacement.”
Una psicoanalisi della domanda e non della risposta. Fu questa la lezione di Elvio Fachinelli
ll problema della vita, o meglio del potere sulla vita, ovvero del rapporto tra vita e potere, che per un lungo periodo della storia umana è stato relegato alla dimensione privata e domestica della riproduzione, nonché agli aspetti biologico-naturali dell’evoluzione, è diventato la posta in gioco del nostro tempo.
Al momento dell’Unità il lavoro era molto spesso un’esperienza discontinua. Ci si adattava trovando fonti alternative di sostentamento, esercitando diverse attività o spostandosi alla ricerca di un’occupazione. A fine Ottocento nasce una nuova consapevolezza: la mancanza di lavoro è una forma di ingiustizia contro cui occorre lottare.