philosophy and social criticism

Archive for ‘Giugno, 2015’

L’edificio della letteratura

“La poesia non si sente né col cervello, né col cuore”, scriveva Nabokov, “ma con la spina dorsale”. Nessun autore, se non è un artista, riesce a darti il brivido nella schiena, l’orgasmo finale che è lo scopo dei degustatori raffinati. A questo livello della grande costruzione trovi i creatori di forme e miracoli estetici, trovi le Solitudini di Gongora e Salammbô e Alla ricerca del tempo perduto e Finnegans Wake e Lolita e L’arcobaleno della gravità. Se la letteratura fosse fatta di parole, come diceva Mallarmé, Nabokov sarebbe il più grande scrittore al mondo. Ma la letteratura non è fatta di parole.

Il corpo abbacinante di Mircea Cărtărescu

Se il mondo fosse schiacciato su un piano infinito, che non concede fughe, «la terza dimensione sarebbe inimmaginabile per i nostri cervelli di carta». Ecco perché, scrive Mircea Cărtărescu, i personaggi in una fotografia sono immobili, rigidi, non tentano di sottrarsi, non conoscono le forme dell’esodo o dell’esilio.

Diario

Il diario, tra e scrittori e scriventi

Nel Livre à venir, in un capitolo dedicato a “Le journal intime et le récit” Blanchot ritorna sulla questione, stabilendo delle opposizioni elementari. C’è un’opera e nella vita letteraria quest’opera dà vita a un essere neutro, un être neutre. In opposizione, c’è l’uomo qualunque, l’uomo comune, l’uomo della vita quotidiana: è in questa vita quotidiana che si inscrive la pratica diaristica del sé.

"Palmira"

Palmira e l’antico pantheon cosmopolita. Intervista a Maurice Sartre

Palmira sotto attacco. Un dialogo con Maurice Sartre, che si trovava in Siria quando, nel luglio 2011,si vide costretto a lasciare improvvisamente il paese. Studioso di iscrizioni greche e latine della Siria, Sartre ci racconta perché Palmira – città cosmopolita ante litteram – detiene, più di qualsiasi altro sito archeologico, segreti di antico splendore ma anche speranze di un futuro di democrazia e libertà.

" Satō Makoto"

Satō Makoto, visioni sul reale. Assoluta immediatezza/assoluta alterità in due documentari

Satō è stato uno dei documentaristi che più hanno indagato tanto l’essenza dell’immagine indessicale ed il suo rapporto con l’atto di rappresentare la realtà, quanto la costruzione finzionale che sta alla base del documentario, specialmente nelle due opere che prenderemo qui in esame il suo discorso è ancor più interessante in quanto intercetta marginalmente alcuni percorsi concettuali (senza una sua volontà esplicita peraltro) che già animavano quella Teoria del Paesaggio (fūkei-ron) nata, con più forti connotazioni politiche, nei primi anni settanta.

Norman Manea, la lingua madre della verità

In principio era la parola, dicono gli antichi «Per me, la parola del principio fu romena». Nato in Bucovina nel 1936, in una regione al tempo fortemente animata dal plurilinguismo (romeno, yiddish, ucraino, polacco, lo slavo dei ruteni e poi il francese dei commerci e il tedesco delle élites), gli anni dell’infanzia – cinque, dall’ottobre del 1941 all’aprile del 1945 – trascorsi in un campo di concentramento in Transnistria, Norman Manea inizia così la propria riflessione su quella che ama chiamare la «lingua nomade», la «lingua domicilio», la «lingua placenta». Questa lingua nomade, domicilio e placenta per lui era e continua a essere il romeno.

"Fotografare l'invisibile"

Vedere senza sapere. Bonnefoy, poesia e fotografia

Il fotografo è, a suo modo, l’annunciatore del Nulla, libera le cose lasciandole nude, spoglie, silenziose, e ci consegna un irrimediabile vuoto. Scrive Yves Bonnefoy: «Il fatto che il dettaglio casuale, che il caso in quanto tale si rivelassero in una fotografia, esprimendo in essa, per la prima volta nell’immensa storia delle immagini, la loro realtà tanto specifica quanto irriducibile, fu un evento del quale non va sottovalutata la capacità di far vacillare fin nei loro ignoti fondamenti le basi della coscienza»

"Carnevale di Ivrea"

Il berretto frigio

Dall’antica Roma ai Puffi, passando per la Rivoluzione francese: permanenza di un simbolo e analogie tra sacro e profano, tra esoterico ed essoterico, tra liberazione della mente e liberazione del corpo nel berretto frigio, copricapo dall’inaudita forza evocativa.

Costruire il «popolo». Il nuovo populismo di Rafael Correa nel laboratorio dell’America Latina

A partire dall’inizio del nuovo secolo, i paesi latino-americani sono stati infatti un formidabile laboratorio di sperimentazione politica, nel quale hanno visto la luce formule politiche nuove, di segno spesso molto differente e peraltro difficilmente interpretabili con le categorie più consolidate della politica europea. I movimenti e gli esperimenti nati in Argentina dopo la grande crisi dell’inizio del secolo, la «rivoluzione bolivariana» di Hugo Chavez, il Brasile di Lula, la Bolivia di Morales non hanno infatti solo dato inizio a stagioni politiche che hanno rotto con la storia precedente di questi Paesi, ma sono spesso andate a coincidere anche con la sperimentazione di nuove formule di organizzazione politica e di partecipazione popolare.