Pierre Zaoui. Scomparire! Sovvertire!
di Francesco Paolella Nota su: Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, Il Saggiatore, Milano 2015, 138 pagine, 11 euro. Qui non dobbiamo pensare alla…
di Francesco Paolella Nota su: Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Vivere con discrezione, Il Saggiatore, Milano 2015, 138 pagine, 11 euro. Qui non dobbiamo pensare alla…
Scriveva Cesare Pavese: “Parlare. Le parole sono il nostro mestiere. Lo diciamo senza ombra di timidezza o di ironia. Le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene”
Per Aldo Busi la letteratura è ritmo, è molto difficile riuscire a romperlo o anche solo a sospenderlo. Questo libro è la somma, anzi la moltiplicazione, di tanti libri possibili.
Nel suo Eckhart, Galvano Della Volpe rimprovera, tra l’altro, anche a marxisti, il culto della negazione della negazione, che, a suo avviso, non è che formula teologica desunta, da parte di Hegel, da mistici come Eckhart e Nicola da Cusa, per i quali solo è ammissibile una logica dell’infinito in cui uomo e mondo sono negazione di quella posizione che è l’infinità di dio, cui si approda mediante la negazione della negazione, vale a dire dell’accidentalità del mondo
Se l’altro Karl , Kraus, avesse scritto il Capitale – osservava Manlio Sgalambro – l’avrebbe sintetizzato in poche righe
Eurozona disciplinare. Così l’ha definita Varoufakis e di certo non si sbagliava: questa prigione coincide con la stessa razionalità liberale che appare cristallizzata nelle istituzioni monetarie, racchiusa in un corpo di leggi, inscritta nei trattati fiscali.
Gli americani adorano il sociopatico di successo, la loro non è tanto una società in cui nessuno conosce nessuno quanto una società in cui solo ai personaggi celebrati dai media si concede vera esistenza. Il resto, conta solo come eccezione. Che cosa dire e come non ridere davanti a Elton John, l’ex cantante oramai specializzato in coretti funebri, che piange al funerale dell’amico stilista, «fasciato da abiti di Versace, come fosse una Maria Antonietta»?
di Jorge Luis Borges Come tutti gli uomini di Babilonia, sono stato proconsole; come tutti, schiavo; anche ho conosciuto l’onnipotenza, l’obbrobrio, le carceri. Guardino: la mia…
«Forse la Storia universale è quella della diversa intonazione di alcune metafore»; così Borges opina su una delle suggestioni certo a lui più care: quella della possibilità di tracciare un compendio esaustivo delle portanti immaginali che hanno determinato la vita degli uomini nel loro divenire storico. Tra queste metafore, parola la cui etimologia dispiega pienamente la sua forza evocativa — dal greco meta-foreo, cioè trasportare oltre – una rientra magistralmente tra le costanti che compongono il catasto borghesiano della Storia universale: Dio come sfera infinita.
“Nessun giocatore deve essere più grande del gioco stesso”. La battuta di un film a suo modo chiave, Rollerball,veniva posta da Jean Baudrillard in sergo al terzo capitolo del suo De la séduction, pubblicato nel 1979 per i tipi di Galilée. Proprio da questo lavoro – e dalla traduzione di Pina Lalli – pubblichiamo un estratto, importante per la riflessione sul “destino politico della seduzione”, che si dipana, nel suo asse centrale, proprio attraverso le dinamiche del gioco. Un gioco che “assorbe non solo il giocatore, ma il mondo”, scriveva Baudrillard e lo consegna a all’infinita deriva del ludico.
“Se fosse questo l’amore / un corpo leggero sull’acqua // scritture di sabbia sul fondo marino /riflessi di sole su onde appena increspate”. Da Carloforte, le istantanee di mare di Lea Melandri
Scrive Elias Canetti: «È vanto di chi sta in piedi l’essere libero, senza appoggiarsi a nulla»
Non può esserci liberazione reale, nemmeno con la morte: il figlio-orfano può imparare forse a convivere con il ricordo del dolore, custodirlo e, in un certo qual modo, farsi cullare da questo. “L’invenzione della madre” di Marco Peano
una società di vecchi è una società di deboli, una società che invecchia è alla merce della più radicale forma di profitto, quella che si innesca sul bisogno, sulla cura e sulla precarietà.