philosophy and social criticism

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Il torero morto di Manet

In Manet, scriverà Georges Bataille, “si manifesta più chiaramente il desiderio di negare – o di sormontare – l’orrore e di ridurlo all’ingenuità (naïveté) della luce”.

Bet

Ciò che non c’è ci sia, si fissi e sia esserci, soggiorno, corpo – scriveva José Ángel Valente nella prima delle sue tre Lezioni di tenebre

"Colette en 1917"

L’alphabet de Colette pour «choses du monde et questions de chair»

Le 7 août 1954, Gabrielle Colette fut la première femme, et toujours la seule, dans l’histoire de la République française à avoir des funérailles d’état. En réponse au cardinal Feltin, qui avait refusé le rite catholique demandé par le troisième mari de Colette, Graham Greene indigné, écrivit une lettre ouverte, tissée de sarcasmes

"Colette, 1917"

Natale a Roma

Scritto per il mondano e raffinato “La Vie Parisienne”, pubblicato nel giorno di Natale del 1917, questo racconto di Colette – “L’hiver a Rome” – si inscrive tra i reportage, le istantanee, i piccoli o grandi acquarelli attraverso i quali l’autrice di Chéri coglie l’air du temps – ed è un tempo di guerra – del suo soggiorno romano. Guerra o non guerra, Roma, per lei, fu sempre e comunque una «ville sans rivale», per il suo sole, i suoi giardini, i suoi mendicanti e la sua gente chiassosa e indocile, ma viva.

"Giorgio Manganelli, La terribile forza del leggere"

La terribile forza del leggere

Dobbiamo difendersi da un nuovo ibrido, scriveva Giorgio Manganelli poco prima di morire. Difenderci dall’analfabeta che sa leggere eppure ” ignora i libri, e soprattutto quello che i libri possono toccare dentro di lui. In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortato da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili, o fittizie battaglie, sta nella nostra esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte dell’ uomo”.

L’invenzione dei lavori inutili

Liberare tempo per sé, lavorare meno per lavorare tutti e meglio, è visto con sospetto, come se comportasse la perdita di potere sulla vita degli altri. Meglio quindi inventare lavori inutili, ma utili per piegare tutti all’etica del lavoro.

Novecento

Il Novecento di Mario Tronti

La teoria operaista era uno strumento di lotta: per questo rimane importante, non per la sua funzione di verità. La classe operaia italiana aveva chiuso il suo ciclo di lotte, ma la teoria politica non è una scienza esatta, non offre modelli transtorici, ma ha senso finché produce lotta, coscienza, progettualità politica. Poi bisogna costruire altro.

"Rouges-bruns"

L’Europa in mano ai rossoneri. Intervista con Jean-Loup Amselle

Un nuovo spettro si aggira per l’Europa: è lo spettro rosso-nero della guerra tra razze. La “razzizazione” del conflitto ha mascherato le ragioni profonde – economiche, antropologiche, sociali – della crisi, creando figure inedite nella loro configurazione ibrida, capaci di muoversi con destrezza nella società postcoloniale: i chierici rosso-neri

"Vanni Codeluppi"

La rete non è più un bene comune

Socialità e materialità della nostra cultura sono pervasi, non solo immersi, dall’ambiente digitale. Vi si articolano e vengono in esso articolate. Ma davvero la rete, in questo stadio del suo sviluppo, è da considerare un “bene comune”? Per il sociologo Vanni Codeluppi la rete non è “social” come vorrebbero farci credere

In memoria di Frantz Fanon

Dell’Europa, Frantz Fanon coglie le sfumature che ne facevano e ne fanno un continente eminentemente razzista. Fanon era maestro nel cogliere le “piccole differenze”. Differenze di dettaglio che è più facile osservare quando vi appartieni: il disabile, l’autistico, il nero, l’ebreo, l’arabo, il povero, l’analfabeta, lo straniero, le donne, i generi sessuali differenti, i carcerati, le minoranze linguistiche, i migranti. Tutti quei dannati della terra vedono le sfumature, leggono in interlinea la lingua europea.

Nutrire la comunità. Dialogo con Fritjof Capra

L’economia è solo un aspetto di un tessuto ecologico e sociale complessivo nel quale si sta facendo largo una nuova visione d’insieme che, a dispetto di cifre, rating e disavanzi di bilancio, oppone una «qualitative growth» – una crescita qualitativa – ai troppi numeri che «vorrebbero imbrigliare la vita» in schemi e grafici